Nino Cartabellotta è medico chirurgo, specializzato in Gastroenterologia e Medicina interna e fondatore di Gimbe, il Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze che in questi anni ha rappresentato una delle lenti più autorevoli attraverso le quali leggere il Sistema sanitario italiano, i suoi cambiamenti, le difficoltà, i suoi obiettivi sfidanti.
«Nessun Governo dichiarerà mai una esplicita intenzione di smantellare il Ssn, ma il continuo indebolimento della sanità pubblica finisce comunque per sgretolarne i princìpi fondanti: universalismo, uguaglianza, equità. In altre parole, non esiste alcun piano occulto di smantellamento e privatizzazione del Ssn, ma nemmeno un esplicito programma politico per il suo rilancio. Quindici anni di tagli e definanziamento da parte di Governi di ogni colore hanno progressivamente e inesorabilmente indebolito il Ssn nella sua componente strutturale, tecnologica e soprattutto professionale. I confronti internazionali sulla spesa sanitaria pubblica pro capite relativi al 2022 confermano che l’Italia in Europa precede solo i Paesi dell'Est (Repubblica Ceca esclusa). Il divario rispetto alla media europea, cresciuto dal 2010, ha raggiunto la quota di 801 euro pro capite, pari a un totale di oltre 47 miliardi. Tra il 2010 e il 2022, il gap cumulativo è di 333 miliardi. Urge un progressivo rilancio del finanziamento pubblico e l’attuazione di riforme coraggiose».
«L’attuazione delle maggiori autonomie in sanità è destinata ad acuire la “frattura strutturale” tra Nord e Sud del Paese come dimostrato dalla mobilità sanitaria, che sposta ingenti fondi (4,25 miliardi nel 2021) principalmente dal Sud verso le regioni “autonomiste” e dai dati 2021 sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), da cui emerge che solo tre Regioni sulle 14 adempienti sono del Sud: Abruzzo, Basilicata e Puglia. Quest’ultima è stata l’unica regione meridionale adempiente anche nel 2020, anno dello scoppio della pandemia. Il Ddl Calderoli peraltro rimane molto vago sul finanziamento oltreché sulla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale. Senza uniformità e finanziamento dei Lep, le disuguaglianze regionali, lungi dall’essere ridotte, non potranno che aumentare! E l’autonomia differenziata finirà per legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute».
«Il Ddl Calderoli contrasta con il fine ultimo del Pnrr per il quale abbiamo indebitato le future generazioni: perseguire il riequilibrio territoriale e rilanciare il Sud come priorità trasversale a tutte le missioni per rilanciare il Mezzogiorno. La Missione Salute del Pnrr rappresenta una grande opportunità per potenziare il Ssn, ma la sua attuazione deve essere sostenuta da azioni politiche. Qualche esempio? Occorre definire ruolo e responsabilità dei medici di famiglia, servono interventi straordinari per reclutare il personale infermieristico e bisogna supportare le Regioni del Mezzogiorno per colmare i gap esistenti con il Nord».
«Entro marzo 2023 bisognava raggiungere il target intermedio di 296mila over 65 assistiti in Assistenza Domiciliare Integrata (Adi), ma è stato richiesto e approvato uno slittamento di 12 mesi, visto che la maggior parte delle Regioni del Centro-Sud hanno una limitata offerta di Adi. Se Emilia-Romagna, Toscana e Veneto per raggiungere il target 2026 devono aumentare i pazienti assistiti in Adi rispettivamente del 35%, del 42% e del 50%, al Centro-Sud i gap sono enormi: la Campania deve incrementarli del 294%, il Lazio del 317%, la Puglia del 329% e la Calabria addirittura del 416%».
«A partire dal 2001 la cattiva gestione politica ha generato un grave deterioramento della sanità pubblica nelle Regioni del Centro-Sud che si sono distinte per enormi sprechi. Quando poi lo Stato ha smesso di ripianare i debiti, le Regioni sono state costrette a recuperare risorse aumentando le imposte regionali. Dal 2007 poi i Piani di rientro hanno impedito lo sviluppo organizzativo dei servizi sanitari delle Regioni meno virtuose. È evidente che, senza investimenti adeguati e riforme coraggiose per rilanciare la sanità del Mezzogiorno, la situazione non potrà migliorare, a maggior ragione con l’autonomia differenziata».
«Il definanziamento della sanità tra il 2010 e il 2019 ha determinato una carenza di personale, con politiche disastrose che hanno prima eroso e poi demotivato i professionisti sanitari. Tetti di spesa, blocco delle assunzioni e dei rinnovi contrattuali, borse di studio insufficienti per specialisti e medici di famiglia. La pandemia ha esacerbato questa crisi, portando a licenziamenti volontari, pensionamenti anticipati e fuga verso la sanità privata o all'estero. Ecco perché è inderogabile allineare retribuzioni e condizioni di lavoro agli standard europei, oltre che garantire prospettive di carriera per le professioni sanitarie non mediche».
«Attualmente la differenza nell’aspettativa di vita tra le regioni del Centro-Nord e del Sud Italia è di oltre 3,3 anni e questo evidenzia l'importanza dei servizi sanitari regionali nella salute della popolazione. In pratica è stato vanificato quel vantaggio che le Regioni meridionali avevano conquistato nei decenni scorsi grazie a favorevoli condizioni ambientali e climatiche e alla dieta mediterranea. Purtroppo in assenza di investimenti e per rilanciare la sanità del Mezzogiorno, impossibile invertire la rotta».