Sanità, il report Gimbe: «Puglia, migliorano i Lea ma resta il nodo dei viaggi della speranza»

Sanità, il report Gimbe: «Puglia, migliorano i Lea ma resta il nodo dei viaggi della speranza»
di Andrea TAFURO
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Venerdì 22 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Marzo, 07:14

L’autonomia differenziata «non solo porterà al collasso la sanità del Mezzogiorno, ma darà anche il colpo di grazia al Sistema Sanitario Nazionale, causando un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti». Compresa la Puglia. Il quadro allarmante sulla sanità arriva da Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, nell’analisi dei risultati del report “L’autonomia differenziata in sanità” che esamina le criticità del ddl Calderoli approvato al Senato e ora in discussione alla Camera, e analizza il potenziale impatto sul servizio sanitario nazionale delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni in materia di “tutela della salute”. In particolare, dai numeri registrati, la Puglia pur avendo negli ultimi anni (a partire dal 2020) migliorato il trend sui Lea (livelli essenziali di assistenza) passando in zona gialla con 209,3 punti su 300 (rispetto al periodo 2010-2019 quando gli adempimenti sui Lea erano in fascia rossa, fermi al 67,5%) le criticità maggiori sino al 2021 (ultima rendicontazione Gimbe) riguardano la mobilità passiva: cioè quel fenomeno che coinvolge i pazienti pugliesi che usufruiscono dei servizi sanitari in ospedali o strutture fuori regione, con saldo negativo “rilevante”, pari a 131,4 milioni di euro. 

Il report

«Le nostre analisi - aggiunge Cartabellotta - documentano dal 2010 enormi divari in ambito sanitario tra il Nord e il Sud del Paese e sollevano preoccupazioni riguardo l’equità di accesso alle cure». Ad esempio, nessuna regione del Sud è nella top 10 dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) nel decennio 2010-2019; una soltanto (Molise) nella mobilità sanitaria dal Centrosud al Nord, con tutte le regioni del Meridione che hanno accumulato complessivamente un saldo negativo pari a 13,2 miliardi di euro nel periodo 2010-2021, mentre ai primi posti si trovano le tre regioni che hanno già richiesto le maggiori autonomie. «Complessivamente questi dati - spiega il presidente di Gimbe - confermano che in sanità, nonostante la definizione dei Lea nel 2001, il loro monitoraggio annuale e l'utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali. Siamo oggi davanti ad una "frattura strutturale" Nord-Sud che compromette qualità dei servizi sanitari, equità di accesso, esiti di salute e aspettativa di vita alla nascita, alimentando un imponente flusso di mobilità sanitaria dal Sud al Nord. Di conseguenza, l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze già esistenti». Scarse, secondo Gimbe, sono anche le performance delle regioni del Centro-Sud per il raggiungimento degli obiettivi della missione salute del Pnrr, che accusano un ritardo nell’assistenza domiciliare integrata (Adi) degli over 65, e che per rimettersi in pari con l’area Nord dell’Italia dovrebbero incrementare l’attività del 300% (Puglia, Campania e Lazio). Dato negativo che la Puglia registra anche rispetto alla dotazione di personale infermieristico, con 4,61 unità su mille abitanti, rispetto alla media nazionale del 5,06, racchiusa tra i 6,72 del Friuli Venezia Giulia e 3,59 della Campania. 
Numeri pugliesi che, secondo il report Gimbe, sono invece nella media nazionale per quanto riguarda l’attività sulle strutture Pnrr (case e ospedali di comunità e Cot) e sull’aspettativa di vita alla nascita (82,6 anni). Tuttavia, le regioni del Mezzogiorno, (eccetto la Basilicata) si trovano insieme al Lazio in regime di piano di rientro. «Contrariamente agli entusiastici proclami sui vantaggi delle maggiori autonomie per il Meridione – sottolinea Cartabellotta – nessuna regione del sud oggi può avanzare richieste di maggiori autonomie in sanità». Ma a rischio non è solo il meridione. L’ulteriore indebolimento dei servizi sanitari nel Mezzogiorno, infatti, rischia di generare un effetto paradosso nelle ricche regioni del Nord che, per la grave crisi di sostenibilità del Ssn, non potranno aumentare in maniera illimitata la produzione di servizi e prestazioni sanitarie. «Al di là di accattivanti slogan e illusori proclami – conclude Nino Cartabellotta – è certo che l’autonomia differenziata non potrà mai ridurre le diseguaglianze in sanità, perché renderà le regioni del Centro-Sud sempre più dipendenti dalle ricche regioni del Nord. Stiamo di fatto rinunciando alla più grande conquista sociale del Paese e ad un pilastro della nostra democrazia solo per un machiavellico “scambio di cortesie” nell’arena politica tra i fautori dell’autonomia differenziata e i fiancheggiatori del presidenzialismo. Due riforme che, oltre ogni ragionevole dubbio, spaccheranno l’unità nazionale».
 

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