Gasdotto Tap, la fine di un'epoca: verso l'intesa Comuni-società, sì a 33 milioni e revoca delle parti civili

Le nove amministrazioni comunali (tra le quali Melendugno) che fin qui si erano opposte e la Regione verso l’accordo con la multinazionale: fuori dal processo penale a fronte delle risorse da investire sul territorio

Il terminale di ricezione del Tap
Il terminale di ricezione del Tap
di Francesco G. GIOFFREDI
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Mercoledì 1 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 2 Novembre, 10:32

La scelta corale dei sindaci chiude definitivamente a doppia mandata un’epoca, per il Salento e per tutta la Puglia. Un lungo, lacerante decennio di rapporti conflittuali o inesistenti tra il territorio salentino e Tap, contraddistinto da veleni, fratture insanabili, errori di strategia, da consegnare così alla storia. Con un bel po’ di amaro in bocca. La materia è delicata, incandescente. E la trattativa viaggia silenziosa. Ma è a buon punto e potrebbe presto sfociare in un accordo, senz’altro al ribasso rispetto alle premesse (e promesse) di un tempo. E allora: i nove Comuni salentini - e a cascata la Regione - che tre anni fa scelsero di costituirsi parte civile nel processo penale contro Tap (ipotizzando risarcimenti monstre per danni), si avviano a fare un passo indietro. Tradotto: revoca della costituzione di parte civile, “incentivati” da un accordo con la società che ha realizzato il gasdotto con approdo a Melendugno e in esercizio da quasi tre anni. 

I termini dell'intesa: 33 milioni sul piatto

Una mesta ritirata, dopo la furia “no Tap” degli anni scorsi, culminata pure negli scontri al cantiere, e dopo aver toccato con mano la strategicità dell’opera. È, forse, una definitiva pacificazione. La multinazionale metterebbe sull’altro piatto della bilancia 33 milioni di euro, da distribuire ai Comuni salentini: sono i 25 milioni da anni in ballo - e mai oggetto di reale negoziato nell’infinito balletto di “no”, distinguo, proteste e attendismi delle istituzioni salentine - più 8 milioni supplementari. Comunque briciole, una sconfitta, un magro bottino rispetto a quanto negli anni il Salento e la Puglia avrebbero potuto spuntare da Tap, quando c’era l’opportunità di dialogare con la società, incalzandola a dovere e proponendo corposi investimenti compensativi, senza viceversa infilarsi in opposizioni all’opera sterili e infruttuose, cavalcate per anni dalla stessa Regione a guida Emiliano. A Melendugno e dintorni c’è pure chi fa di conto e scuote la testa: fin qui, negli anni, potevano essere incassati oltre 200 milioni da spalmare sul territorio. Proiettarsi su cifre reali non è semplice, ma la dimensione del rammarico è chiara. Ed è un atto d’accusa nei confronti di chi, sindaci e amministratori regionali, non ha saputo “governare il processo” e dare risposte concrete ai territori.
I Comuni ora al tavolo del confronto, non tutti sfiorati dal tracciato a terra del gasdotto, sono quelli di Melendugno, Vernole, Castrì, Lecce, SurboLizzanello, Martano, Calimera e Corigliano d’Otranto. I sindaci - nel frattempo alcuni dei quali diversi rispetto a chi optò per la linea dura, a Melendugno in primis - sembrano ormai d’accordo sul colpo di spugna da passare sulla costituzione di parte civile: a loro nove andrebbero i 25 milioni, ed è in corso la valutazione sul “quanto a chi”, col Comune di Melendugno che avanza comprensibili pretese (in poche parole: circa 12 milioni). Gli 8 milioni addizionali sarebbero invece affidati alla Provincia di Lecce, che in questa partita ha il ruolo di coordinamento, raccordo e camera di compensazione: le risorse verrebbero spalmate, con un valore poco più che simbolico, su tutti gli altri comuni salentini. L’obiettivo? Impacchettare tutto entro la fine dell’anno, in modo da iscrivere le somme nei bilanci comunali di previsione e spendere nel 2024. La Regione segue lateralmente, ma con interesse, l’evolversi dei fatti: s’è sempre accodata, quasi con funzione di supporto politico-istituzionale, alle mosse dei Comuni. E anche stavolta farà altrettanto, revocando la costituzione di parte civile. «È una stagione completamente diversa», ha spiegato nei giorni scorsi Alessandro Delli Noci, assessore regionale allo Sviluppo economico, con riferimento alla rivisitata legge pugliese sulle compensazioni energetiche.

Il punto però è proprio questo: quelle “innovative” norme regionali rischiano ora di offuscare il quadro del dialogo tra Comuni e Tap, dato che la società boccia le compensazioni fino al 3% del valore del gas trasportato applicate anche a impianti già esistenti, e potrebbe irrigidirsi. Un fattore - involontario? - di disturbo: così pensano le parti dell’accordo in cottura.

Una nuova fase attorno al gasdotto

In ogni caso, che questa sia «una stagione completamente diversa» rispetto agli anni delle barricate è evidente e tangibile, per tanti motivi. Prima di tutto l’impatto del gasdotto: di fatto invisibile, lì sulla spiaggia di San Basilio, e in quel tratto di costa sventola sempre la Bandiera blu, il più importante riconoscimento per le località marittime. Insomma: impossibile parlare più di “sfregio” o di “impatto negativo sul turismo”. Secondo aspetto: la strategicità dell’opera, che ha consentito all’Italia di attutire il colpo della crisi energetica scatenata all’invasione russa in Ucraina. Dati aggiornati a un mese fa: 23,3 miliardi di metri cubi di gas portati dall’Azerbaijan in Italia, 2,2 nel terzo trimestre 2023, +12% rispetto alla capacità nominale sempre nell’ultimo trimestre. Terzo elemento: la stagnante vicenda processuale e il timore da parte dei sindaci, vecchi e soprattutto nuovi, di aver imboccato un inconcludente binario morto. Il capitolo dell’inchiesta sulle presunte (e ora insussitenti) violazioni della direttiva Seveso sui rischi di incidenti rilevanti è stato archiviato. E il processo sui presunti illeciti di tipo edilizio, paesaggistico e ambientale procede a piccoli passi e a ritmo lento.

Nel complesso, dunque: un radicale cambio di fase. Col “fronte del no” ormai evaporato. La trattativa tra sindaci e Tap è alla stretta finale. C’è già stato un recente incontro tra le parti, e la scorsa settimana i sindaci hanno nuovamente fatto il punto in Provincia. Sfilarsi dalla costituzione di parte civile è un passo rilevante: per cogliere le proporzioni, la Regione chiede danni da 225 milioni, il Comune di Melendugno si attesta a 200, in totale si va oltre il miliardo. Tap dovrebbe mettere da parte pure le residue contestazioni penali mosse nei confronti dei manifestanti “no Tap”, ed è un ulteriore segnale.


I 25 milioni, come accennato, sono lì in ghiacciaia da anni alla voce “investimenti volontari”, senza che nessuno - Regione, Provincia o Comuni - si sia mai avvicinato. E senza che nessun governo - di centrosinistra, gialloverde, giallorosso e di centrodestra - abbia mai preso davvero a cuore il dossier, tra i tentativi velleitari di far confluire quei 25 milioni in partite più ampie (i Cis Lecce-Brindisi, per esempio) pur di addolcire la pillola ai sindaci “duri e puri” e convinti di poter incassare risarcimenti danni, dopo aver presidiato piazze e manifestazioni. Il tempo è trascorso inesorabile, l’opera è stata realizzata, il gas fluisce, ma nessun amministratore regionale o locale ha fatto un passo avanti e il Salento non ha visto un euro.

La legge regionale: un'incognita

Ora, la legge regionale sulle compensazioni promette di portare soldi, tanti soldi, dagli insediamenti energetici presenti sul suolo pugliese, compreso il Tap. Sempre che la legge non finisca, ed è molto probabile, sotto il faro della Corte costituzionale: la precedente stesura era stata già impugnata, le modifiche della scorsa settimana potrebbero non bastare, nonostante le riunioni tecniche col ministero dell’Ambiente e i correttivi per non contrastare con la legge Marzano del 2004. Resta comunque l’applicazione delle norme pugliesi anche a impianti già esistenti, ed è una delle incognite più grandi. Insomma: i 25+8 milioni potrebbero rimanere l’unica e ultima chance per il Salento.

Il raddoppio del gasdotto

Intanto, Tap procede con l’iter che porterà al raddoppio della capacità del gasdotto, fino a 20 miliardi di metri cubi all’anno. La fase istruttoria è regolata dall’Unione europea, con un meccanismo trasparente di richiesta e allocazione sul mercato di capacità di trasporto. La fase del processo di consultazione (il market test) ha dato incoraggianti segnali di interesse. Non sarà necessario intervenire sull’infrastruttura, ma solo sulle centrali di pressione in Grecia e Albania. Segnali, in ogni caso, che ribadiscono ancora una volta la centralità del Tap. E che accelerano la presa di coscienza, a più livelli.
Resta da capire, ora, come sarà gestita (anche dialetticamente) la fase post revoca delle costituzioni di parte civile. La Regione da tempo sta lentamente dissodando il terreno. Nel febbraio scorso a Brindisi, in un convegno organizzato dal Distretto dell’Energia, ci fu il primo faccia a faccia pubblico tra Regione e Tap. Delli Noci, in quella occasione, ammise che «ci sono tutte le condizioni per un tavolo di dialogo, anche perché c’è una consapevolezza diffusa rispetto alla strategicità dell’infrastruttura». Claudio Stefanazzi, deputato Pd ed ex capo di Gabinetto in Regione, parlò di una «riflessione collettiva che consenta a territori coinvolti, amministrazioni, associazioni, azienda di passare alla “fase 2” di permanenza dell’infrastruttura e di capacità dell’azienda di incidere sulle dinamiche socio-economiche». La “fase 2” ora è cominciata, il “tavolo di dialogo” c’è, ma gli errori del passato restano indelebili.

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