Emiliano il mediatore: moratoria per le trivelle

Emiliano il mediatore: moratoria per le trivelle
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Martedì 18 Agosto 2015, 09:25
La firma c’è. Ma, allo stesso modo, non manca la volontà di battere altre strade, improntate alla diplomazia e alla ricucitura istituzionale di uno strappo sempre più ampio e vistoso. Michele Emiliano ha sottoscritto il referendum per stoppare lo “Sblocca Italia” del governo e frenare così le possibili prospezioni petrolifere al largo delle coste pugliesi. Ma il governatore pugliese veste anche i panni del mediatore: «Il referendum chiesto dalle Regioni è una extrema ratio, io sarei felice di trovare un accordo per una moratoria». Un’affermazione, niente affatto banale dopo il ruvido scontro con Matteo Renzi in Direzione nazionale Pd, lasciata scivolare dal “sindaco di Puglia” su Twitter, durante un vivace scambio di battute con alcuni follower. Poco prima, Emiliano aveva twittato: «Stamattina ho firmato referendum contro le trivellazioni petrolifere nel nostro mare. Lo avevo detto e l’ho fatto. Spero in una immediata moratoria». Il referendum è quello promosso dai comitati civatiani “Possibile”, mentre il treno delle cinque Regioni (già attivate sul fronte referendario) procede su un binario parallelo.



La «moratoria» auspicata a più riprese da Emiliano in seno allo “Sblocca Italia” sarebbe invece il modo ideale per andare a dama sulla doppia scacchiera romana e meridionale: un accordo con Renzi e i suoi ministri e lo stop alle trivelle, senza dannosi cortocircuiti istituzionali e politici. Anche perché - spiega il governatore pugliese - «il referendum chiesto dalle Regioni apre uno scontro istituzionale col governo assai dannoso per tutti». Nelle scorse settimane Emiliano, insieme con i colleghi di Calabria e Basilicata, è stato ricevuto al Ministero dello Sviluppo economico dalla sottosegretaria Simona Vicari: dai presidenti è stato consegnato il loro “manifesto di Termoli”, cui hanno già aderito sei regioni rivierasche meridionali, tutte di centrosinistra. Un segnale, forte. Anche perché le Regioni hanno la possibilità - tuttaltro che virtuale - di chiedere il referendum attraverso cinque delibere di altrettanti Consigli regionali. L’interlocuzione è in corso: il sottosegretario Vicari aveva assicurato la riconvocazione a stretto giro delle Regioni per comunicare la posizione del governo sulla moratoria richiesta, ma per ora non c’è all’orizzonte alcun tavolo. Intanto però la Direzione Pd sul Mezzogiorno del 7 agosto scorso ha riportato la tensione alle stelle: Renzi, nel suo intervento introduttivo, ha bacchettato chi - come Emiliano - «fa un racconto macchiettistico dello Sblocca Italia», che non autorizza alcuna trivellazione, ma «apre soltanto alla possibilità di ricerche».



Restano comunque settimane di mobilitazione. Soprattutto da parte del Movimento Cinque Stelle, che caldeggia il referendum e porta avanti lungo le coste pugliesi la campagna “Giù le mani dal nostro mare”. Tappa dopo tappa, e con l’ormai classica catena umana: oggi, alle 10, tocca alla marina di Casalabate, a nord di Lecce. E sempre oggi è in programma a Bari un coordinamento delle associazioni pugliesi “no triv”.



Il dibattito è vivace, soprattutto dalle parti del Pd. Spiega l’ex eurodeputato democrat e coordinatore regionale Federparchi, Enzo Lavarra: «La generale opposizione è lontana dalla classica “union sacre” che in altre epoche ha unificato il “sudismo piagnone” contro progetti di modernizzazione del Mezzogiorno. Anzi si può dire che almeno su un tema così dirimente la situazione si è capovolta. Associazioni economiche e di interesse, movimenti di opinione e intellettuali, istituzioni rappresentative, comunità ecclesiastiche sono impegnate da un lato a incoraggiare una prospettiva di nuovo sviluppo già in atto, dall’altro il Governo si attarda in una lettura della Puglia e del Sud guidata dalla categoria dell’arretratezza. “Siete contrari alle trivelle perché nostalgici del tempo che fu o perché difendete la bellezza del mare e della vostra terra come fattore di contemplazione estetica e perciò elitaria e premoderna”. Eppure basta esibire i dati relativi ai flussi turistici per smentire l’assunto». «La domanda è: che succede se trivelliamo il mare? Succede che compromettiamo l’immagine attrattiva ed ecosistema marino, attività della piccola pesca e politiche di ripopolamento delle risorse alieutiche, servizi turistici. Succede che compromettiamo l’integrazione di questa dimensione con il resto del territorio e con quel che di nuovo si viene organizzando. La Puglia rischierebbe dunque di divenire fenomeno di moda passeggera e di perdere il requisito di unicità. Sarebbe una condanna, un’altra condanna. Questa volta non per colpa del “sudismo immobile”. Per questo il no alle trivelle è un si al modello di cui siamo protagonisti e che ci ha aperto al mondo».
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