La Puglia e le Comunali: i partiti dei “si vedrà” e dei silenzi tra non scelte e vuoto di candidati

La Puglia e le Comunali: i partiti dei “si vedrà” e dei silenzi tra non scelte e vuoto di candidati
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 17 Dicembre 2023, 05:05 - Ultimo aggiornamento: 18 Dicembre, 14:05

Difesa, contropiede e gioco di rimessa. Speculando sull'errore altrui, o aspettando l'illuminazione folgorante, la scelta piombata come per incanto dall'alto. La politica pugliese ha sempre meno smalto, idee, visione: si sapeva, da tempo. Adesso è sprovvista persino di collisioni rumorose tra leadership forti, partiti e movimenti, che pure per oltre vent'anni hanno quantomeno vivacizzato la scena e generato scintille e dunque una sorta di “caos creativo”, che fa punteggio (per loro) e notizia (per tutti). Ora, nemmeno più quello. E c'è un problema, grosso, di scelte, ormai soffocate dall’attendismo e dai silenzi.

Al voto senza idee

In primavera si vota a Bari e a Lecce, forse anche a Taranto: a pochi mesi dalla presentazione delle candidature, in teatri così strategici e dai riflessi ampi e profondi nello spazio (oltre le stesse città) e nel tempo (verso le Regionali), le forze politiche da sinistra a destra si limitano a fare ciò che ormai gli riesce meglio: stare immobili, altro che nomi, proposte, alleanze o strappi. Tutti arroccati sulla difensiva, rattrappiti su stessi, incapaci molto spesso di scegliere, di governare i processi innanzitutto al proprio interno, o anche solo di scombinare le carte o di piazzare la famosa “mossa del cavallo” (l'iniziativa abile, inattesa e spiazzante). Il centrosinistra a Bari vivacchia, è al momento bloccato – sempre che domani non si risolva miracolosamente tutto, nel vertice convocato dal Pd – ed è sotto lo scacco dei veti incrociati: quasi irreale dopo i quattro (ripetiamo: quattro) mandati da sindaco di due personalità di primissima fascia come Michele Emiliano e Antonio Decaro, che non sembrano aver seminato il terreno della successione: eppure non era qualcosa, diciamo così, di imprevedibile. Una debolezza nelle cui pieghe sta provando a infilarsi Michele Laforgia, avvocato e riferimento de La Giusta causa e delle sigle raccolte nella Convenzione, ma fin qui frenato dal Pd. A Lecce il centrosinistra ha sì un candidato, ma giusto per aver “costretto” il sindaco uscente Carlo Salvemini allo sbiadito rito delle primarie, altrimenti sai che turbolenze. A Taranto la coalizione s'è polverizzata per colpe collettive, del primo cittadino Rinaldo Melucci, dei partiti, di tutti e chissà se e in che modo ne usciranno. Il centrodestra osserva come se lo spettacolo delle Comunali non lo riguardasse, e come se non fosse viceversa l'occasione buona per disarcionare il centrosinistra dopo vent'anni di (quasi incontrastato) dominio, invece accontentandosi di attendere le mosse degli avversari prima di muovere le proprie pedine, in alcuni casi rimestando nomi di ieri, perché quelli di oggi non hanno il physique du role, o non ancora la voglia e il coraggio. Da sinistra a destra il reclutamento è nel vicolo cieco anche perché le personalità in senso lato “civiche”, cioè non direttamente impegnate in politica, pur corteggiate si mostrano tiepide, se non fredde, quasi disinteressate, e forse timorose di diventare le vittime sacrificali di regolamenti di conti interni o di errori in sequenza. Un segnale comunque allarmante.
Nel complesso, alla fine, è tutto un temporeggiare, stallo, paure, e un vocabolario inzuppato di parole che sanno di sospensione, e via allora con “tavolo”, “documento”, “sentiamo Roma”. È la politica dei “mah, forse, boh, aspettiamo”, che è l'antitesi di leader, partiti, movimenti che decidono o provano a farlo.

Lontani quegli anni, quando si sbagliava da professionisti e tutti giocavano all'attacco, magari anche imponendo candidati, strategie, sbagli. 

Il ruolo di Pd e FdI

Menzione speciale va fatta per i due partiti di governo (l'uno in Regione, l'altro a Palazzo Chigi) che dovrebbero essere il baricentro: il Pd e Fratelli d'Italia. Protagonisti in teoria centrali, ma che invece se ne stanno lì, laterali, spinti ai bordi dalla forza centrifuga del caos. Il Pd graffia senza unghie, ormai reso innocuo dal sempre citato civismo, da un'identità sbiadita e dai rapporti altalenanti con gli alleati. A Bari non riesce a dettare una linea univoca, a Lecce ha rischiato seriamente di spaccarsi, a Taranto gli sfugge il controllo di parte dei consiglieri comunali e del gruppo dirigente locale, ha perso il timing delle valutazioni su fiducia, sfiducia, messaggi a Melucci dopo che il sindaco ha deciso di traslocare in Italia viva, e non è detto che per un eventuale voto possa indovinare il cavallo giusto. Non che siano in salute gli alleati del Pd: il M5s è la sfinge della politica pugliese, sta con i dem, ma fissa paletti da Bari a Lecce, prova ad alzare la voce, ma non troppo; la varia sinistra, a cominciare dai vendoliani, si muove in base ai contesti, a Bari spalleggia la candidatura di Laforgia e bolla le primarie come strumento dell’ambiguità, ma a Lecce le ha pressoché pretese; i civici, soprattutto quelli di Emiliano, talvolta alzano il tiro e danno sempre la sensazione di quel “dentro-fuori” che fa vivere tutta la coalizione pericolosamente.


E poi c'è FdI, il primo partito del Paese che solleva il velo dei sondaggi e della centralità a Palazzo Chigi e trova più o meno il deserto pugliese: l’unico collante è il governo nazionale e la leadership di Giorgia Meloni, dopodiché FdI è spesso impalpabile sui territori, lontano parente di quel Pdl che in Puglia era una macchina da guerra. Il partito sente sulla pelle la sottile, ma tenace, linea divisoria che separa gli ex An dai fedelissimi del ministro Raffaele Fitto. Risultato: tutto fermo, pietrificato. Non è solo questo: il rinnovamento ampio e strutturale della classe dirigente sui territori s'è inceppato da tempo. A condire il tutto, l'apparente disimpegno dei leader regionali, di tutto il centrodestra, per la partita delle Comunali: in passato, avremmo visto scorrere metaforicamente il sangue, ora è come se prevalesse più la paura di accollarsi le responsabilità di una sconfitta, che il desiderio di provare a imporsi e a vincere. Ma in Puglia i partiti di centrodestra faticano da anni a dialogare e compattarsi attorno a un progetto comune, tra tensioni latenti e vecchie fratture e diffidenze mai ricomposte, anche all’interno degli stessi partiti. 

Le vie d'uscita

Come venirne a capo, da sinistra a destra? Inutile illudersi: difficilmente assisteremo a discussione pubbliche e collettive sul futuro delle città e delle coalizioni, se non altro perché ormai fuori tempo massimo. Così come sarebbe velleitario immaginare scatti d’orgoglio di partiti ormai pallidi, impalpabili. Le strade sono allora due, con controindicazioni. La prima: i leader pugliesi, che pure da una parte e dall’altra ci sono, afferrano il toro per le corna e si assumono l’onere delle scelte, comunque da condividere con gli alleati. Ma tutti i leader appaiono al momento preoccupati più dai loro destini personali verso l’Europa o Roma, che da altro. La seconda opzione: la resa e il “commissariamento” da parte delle segreterie nazionali e dei tavoli di coalizione, che imporrebbero nomi e assetti. Ma finora il dossier Puglia non ha suscitato grande interesse. Insomma: un vicolo cieco. Con l’incognita più grande: alle urne per le Comunali cosa peserà di più, i nomi dei candidati o il vento politico generale? E forse, anche questo dubbio sta contribuendo a paralizzare un po’ tutti.

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