Terrorismo, cittadini e polizia insieme contro gli attentatori

di Alessandro CAMPI
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Domenica 24 Luglio 2016, 22:12
Che a spargere periodicamente morte e sangue siano giovani disadattati, convertiti dell’ultima ora o guerriglieri ben addestrati, a questo punto persino poco importa, se è vero che ciò che dovrebbe preoccuparci è piuttosto il fenomeno di una violenza terroristica latente.
Una violenza diffusa, molecolare e imprevedibile nelle sue modalità, con la quale – comunque motivata – le società occidentali rischiano di dover convivere per lunghi anni. Come attrezzarsi rispetto a quest’evenienza tutt’altro che remota? In Italia sono in molti a coltivare la speranza (al limite dell’illusione) che ci sarà risparmiato quel che sta accadendo altrove. Basterà forse qualche maneggio diplomatico col nemico (antica specialità della nostra politica estera). Sarà forse sufficiente il lavoro d’interdizione e repressione dei nostri apparati d’intelligence, che dovremmo in effetti apprezzare più di quanto non ci spinga a fare il nostro proverbiale autolesionismo. Per chi ha fede, si potrà sempre sperare nella protezione della Madonna e dei Santi.
<CP9.3>Ma la verità è che se il terrorismo si diffonde e diventa strutturale o endemico, anche quello generato dall’emulazione, dalla follia individuale o da un istinto patologico di legittima difesa della propria identità minacciata, nessuno può considerarsene al riparo. Di sicuro non sembra fare sconti o soverchie distinzioni nazionali, a dispetto delle apparenze, quello di marca islamista radicale, che se è veramente tale prima o poi non potrà non vedere nell’Italia, se non altro perché sede del papato, un bersaglio simbolico irrinunciabile.
L’esperienza storica – a partire proprio da quella nostrana – ci dice che per stroncare il terrorismo ci vogliono anni, senza considerarne gli strascichi del tempo. Nel frattempo, bisogna conviverci e imparare a combatterlo nelle forme giuste. E qui si apre la discussione sul che fare in società, quelle europee odierne (Italia inclusa), che come si è visto l’altro giorno a Monaco saranno pure organizzatissime, ma sono anche assai fragili dal momento che entrano nel panico collettivo anche solo per l’azione violenta di uno squilibrato o di un omicida solitario.
C’è insomma molto da fare, dinanzi alla sfida di un terrorismo che è globale e ben organizzato ma anche capace di generare forme di violenza solitarie e spontanee: nel coordinamento operativo delle polizie internazionali, nella raccolta e gestione informatica dei dati (che però è già ipertrofica e per ciò spesso inutile), nelle tecniche di investigazione e infiltrazione, nella capacità a studiare i profili psicologici dei possibili attentatori. Ma tutto questo potrebbe non servire senza un cambio radicale di mentalità e atteggiamento che porti ad un sistema di sorveglianza e controllo non affidato solo allo Stato e ai suoi apparati repressivi, come siamo hobbesianamente abituati a pensare, ma anche ai cittadini e alle comunità.
Laddove col terrorismo e il pericolo di attentati si convive da decenni, Israele ad esempio, ci si è pragmaticamente orientati verso una forma di difesa civile attiva che probabilmente dovrà diventare la norma anche per noi. Che non vuol dire, a scanso di equivoci, armare i singoli per autodifesa, dal momento che nessuno auspica la militarizzazione delle nostre società, ma più semplicemente convincersi che ognuno di noi dovrà, non solo mantenere per quanto possibile le proprie abitudine quotidiane (andare al cinema e al ristorante, frequentare i luoghi pubblici, ecc.), ma anche contribuire alla creazione di un sistema di vigilanza e pronto intervento, riferita al proprio spazio vitale, che permetta alla polizia di fare al meglio il proprio lavoro anche nella gestione di un’eventuale emergenza.
Per prevenire il terrorismo il controllo del territorio è ad esempio indispensabile. Ma ciò non può significare soldati armati o agenti in ogni angolo, che sarebbe impossibile. Vuol dire invece cittadini capaci di osservare, guardare, capire, riferire, allarmare chi di dovere, di intervenire se necessario (almeno per un primo soccorso) invece di scappare a gambe levate o, quelli meno pavidi, di fermarsi a fare fotografie col telefonino.
Ma sicurezza, oltre che capacità a vigilare dal basso, vuol dire anche legalità assoluta, rispetto ferreo delle regole da parte di tutti, rimozione d’ogni possibile zona grigia o opaca dalla nostra vita quotidiana. Spiace dirlo con un esempio che potrebbe anche essere mal interpretato, ma una società che vuole legittimamente difendersi non può tollerare lo spettacolo che molti in questi giorni, sulle coste d’Italia, hanno sotto gli occhi: di giovani extracomunitari, spesso clandestini, che vagano per le spiagge a vendere ogni tipo di merce contraffatta. L’accondiscendenza italica, che spesso confonde la tolleranza col lassismo, lo considera uno smercio per la sopravvivenza ad opera di poveri sventurati, che sarebbe persino odioso impedire. Se non fosse che dietro di esso opera una fiorente economia illegale e clandestina di chiara matrice criminale e potenzialmente foriera di intrecci col terrorismo internazionale. Senza considerare, di questi tempi, dovendo immaginare come prima o poi verremo anche noi colpiti, il rischio serio che un attacco all’Italia potrebbe verificarsi proprio contro bagnanti inermi ad opera di un finto venditore di occhiali taroccati.
Allarmismo da bar? Mal celate pulsioni xenofobe? La verità è che una società che voglia davvero difendersi, senza cedere all’isteria di massa o alla xenofobia quella vera e irrazionale, deve sapersi attrezzare dinanzi alle sfide. Essere cittadini attivi e pretendere il rispetto della legge da parte di tutti ovviamente non basta a sconfiggere il terrorismo. Chiudersi nel proprio particolare perché tanto ci pensa lo Stato e tollerare l’illegalità diffusa di certo lo aiuta.


 
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