Deriva populista per fermare il cambiamento

di Lino DE MATTEIS
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Mercoledì 30 Novembre 2016, 18:18 - Ultimo aggiornamento: 18:21
La soddisfazione di dare una sberla politica a Renzi non può giustificare il grave danno che si arrecherebbe all’Italia e agli italiani bloccando la riforma costituzionale. Ormai è chiaro che il variegato fronte del No, essendo diviso su tutto, ha un solo obiettivo comune: fermare un giovane presidente del Consiglio che è riuscito a portare la nazione di fronte alla scelta di un cambiamento epocale.

Cambiamento atteso da decenni e richiesto coralmente da tutte le forze politiche. Gli interessi elettorali dello schieramento del No non possono consentire, infatti, che l’indubbio successo riformista di Renzi, già avallato dalla maggioranza del Parlamento, ottenga anche la legittimazione referendaria.

È indubbio, però, che, se vincerà il No, sarà l’Italia a perdere la sua più grande occasione di modernizzazione. Gli italiani, come spettatori impotenti in una sala cinematografica, vedranno, per l’ennesima volta, riavvolgere la pellicola della “necessità delle riforme”, ma senza mai riuscire a vedere la fine del film. Ricomincerebbe tutto daccapo, ma per riprendere il cammino delle riforme in Italia ci vorranno ancora molti anni, sia perché il fronte del No è diviso su tutto sia perché bisognerà attendere decenni per dimenticare un referendum che, con la vittoria del No, legittima la permanenza del bicameralismo paritario e autorizza a conservare lo stesso numero di parlamentari, le stesse spese per la politica e per le istituzioni, gli stessi paralizzanti conflitti tra Stato e Regioni.
Che nel fronte del No non prevalga l’esigenza di valutare la riforma quanto l’obiettivo politico di strumentalizzare il referendum per fermare Renzi lo si è visto dalla valanga di argomentazioni critiche messe in campo senza, però, che nulla avessero a che fare con la riforma. Dal Jobs Act alla scuola, dallo politica estera a quella economica, tutti i provvedimenti del governo sono stati criticamente tirati in ballo, chi per un verso chi per un altro, per concludere, poi, che se Renzi sta governando male è giusto, quindi, votare No alla riforma costituzionale, indipendentemente dai suoi contenuti. Ma anche quando si è entrati nel merito, il fronte del No preferisce vedere la pagliuzza del difettuccio accessorio e marginale, che potrà anche, eventualmente, essere corretto, ignorando la trave di una riforma epocale che sancisce la fine dell’anacronistico bicameralismo operante solo in Italia. Una sola Camera, eletta democraticamente, che dà la fiducia al governo, metterebbe finalmente al passo l’Italia con gli altri paesi europei e la renderebbe più efficiente e competitiva per affrontare la crescita economica e le sfide future in Europa.

È curioso che nessuno del fronte del No abbia mai detto esplicitamente di essere contro il monocameralismo, contro la riduzione dei parlamentari, contro la riduzione della spesa per la politica e le istituzioni, in favore del mantenimento del Cnel e delle Province o per conservare i difficili rapporti tra Stato e Regioni. Nessuno, in realtà, ha mai parlato contro l’essenza della riforma, i suoi obiettivi di fondo e i suoi pilastri, ma tutti hanno sempre sostenuto che “si poteva fare meglio” o hanno criticato aspetti secondari, ritenendoli più importanti della riforma stessa.

Con una certa malafede, poi, si sostiene che si tratta di una riforma “eversiva”, che apre la strada alla “dittatura”, che ci sarà un “uomo solo al comando”, pur sapendo che i poteri del Governo non sono cambiati, ma, anzi, limitati come per i decreti legge, che i poteri del Capo dello Stato sono rimasti immutati, che la Corte costituzionale vigilerà anche sulle leggi elettorali, che resta intatto il potere della magistratura e della libertà di stampa, che si amplia la partecipazione diretta dei cittadini attraverso il potere referendario, che saranno sempre e comunque gli elettori a votare e a determinare la maggioranza alla Camera.

La verità è che decenni di consociativismo e pastrocchi istituzionali, di inciuci e veti contrapposti, se da una parte hanno paralizzato l’Italia dall’altra hanno consentito sempre a tutti di gestire quote più o meno consistenti di potere, di sedere nelle stanze dei bottoni o di potervi, comunque, esercitare una certa influenza anche stando all’opposizione, svuotando però la democrazia della sua funzione di prendere decisioni. Adesso che, con la riforma costituzionale, si intravede la possibilità di realizzare una democrazia matura, che si assuma la responsabilità di decidere senza rischiare di restare paralizzata dalla palude, la “democrazia” non viene più riconosciuta come tale, ma diventa una “dittatura”, e contro di essa si spingono gli elettori a votare “con la pancia e non con la ragione”, aprendo ad una pericolosa deriva populista e, come ha spiegato domenica scorsa Eugenio Scalfari sulla “Repubblica”, al ritorno dell’“uomo qualunque”.

Il giudizio complessivo sul governo di Renzi lo si esprimerà alle elezioni politiche, ma intrecciare ora le due cose è pura demagogica populista. «Non è certo che cambiando si migliori – diceva Winston Churcill, che di politica se ne intendeva – ma è certo che per migliorare bisogna cambiare». Nessuna legge è perfetta, ma votare No per colpire politicamente Renzi è il peggior danno che si possa fare all’Italia e agli italiani. La vittoria del No, infatti, non fermerebbe solo la modernizzazione dell’Italia, ma aprirebbe un periodo di grave instabilità politica e istituzionale per l’Italia.
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