Occasione unica dopo 30 anni di sole parole

di Federico MASSA
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Venerdì 2 Dicembre 2016, 17:38
Sono almeno 30 anni che, all’apertura delle legislature, si costituisce una commissione per la riforma della seconda parte della Costituzione, con l’obiettivo obiprioritario di superare il bicameralismo paritario; tant’è che tutte le ipotesi di riforma scaturite dal lavoro delle varie commissioni contenevano una tale previsione.

La novità è che, questa volta, il Parlamento ha approvato una riforma organica della seconda parte della Costituzione che elimina il bicameralismo paritario; nessuno mette in discussione la ragionevolezza dell’obiettivo, i sostenitori del no sostengono però, ognuno con un diverso punto di vista, che si poteva fare meglio.
E’ facile osservare che è sempre possibile immaginare di poter fare meglio, ma questa non è sicuramente una buona ragione per non fare nulla e tornare ogni volta alla casella iniziale.

Del resto, la soluzione trovata dall’Assemblea Costituente è frutto di un faticoso compromesso che, già nei primi anni di vigenza della Costituzione, fu oggetto di critiche severe.
Quali le obiezioni fondamentali? Due: a) si mortifica la sovranità popolare perché il Senato non è eletto dai cittadini; b) il bicameralismo paritario non è eliminato, ma anzi è reso più confuso.

La prima obiezione è falsa. Il testo approvato dice espressamente che ogni Consiglio regionale elegge i senatori, fra i consiglieri regionali ed i sindaci, “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”; quindi sono gli elettori che indicano i senatori e, quindi, non vi è alcuna mortificazione della sovranità popolare.
La seconda obiezione è sbagliata. È vero che sulle materie che assumono rilievo per i territori il nuovo Senato deve concorrere all’approvazione delle leggi, ma questa scelta è dettata dalla volontà di dare alla rappresentanza dei territori un ruolo essenziale, di effettiva partecipazione alle scelte della politica nazionale quando le scelte hanno specifica attinenza con il governo dei territori medesimi. Ed è questa la ragione per la quale i senatori sono scelti fra i consiglieri regionali ed i sindaci, ed è anche la ragione per la quale essi percepiranno solo l’indennità di consigliere o di sindaco. In sintesi: meno senatori e meno costi; maggiori e più qualificate funzioni nelle materie che riguardano direttamente le diverse realtà territoriali.

Ma la rappresentanza politica generale, il potere di dare e togliere la fiducia, come in tutte le nazioni in cui vi è un ordinamento parlamentare, sono esclusivamente della Camera; perché si tratta di potestà che non sono ragionevolmente ripartibili e, per di più, ripartibili fra entità non omogenee: quale ragionevolezza, e quale rispetto integrale della sovranità popolare, c’è nel riconoscere eguali poteri a due camere una delle quali, il senato, è eletta da oltre quattro milioni di elettori –quelli che hanno fra 18 e 25 anni- in meno?

I poteri delle Regioni non sono diminuiti, ma anch’essi sono qualificati e, soprattutto sono chiaramente individuati come propri delle Regioni medesimi, non “concorrenti” con quelli dello Stato; una concorrenza che ha solo generato un irragionevole conflitto “giudiziario” innanzi alla Corte Costituzionale ed ha bloccato l’assunzione delle decisioni su questioni decisive per la vita dei cittadini.

L’esempio eclatante è quello della salute e del diritto alla salute; vi è qualcosa di più “universale”? Di meno “divisibile”? Eppure la riforma del 2001 ha stabilito che la “tutela della salute” rientra fra le materie di competenza concorrente; che è come dire che la tutela della salute in Puglia può essere differente dalla tutela della salute in Lombardia. Il dramma vero è che, anche grazie ad una tale stoltezza, così è stato in questi anni e questo ha contribuito a creare insopportabili diseguaglianze nei concreti livelli di assistenza e di tutela della salute.

E mente, sapendo di mentire, chi dice che questa riforma non può essere approvata perché penalizza il sud; i dati oggettivi dimostrano esattamente il contrario: mai come nel periodo successivo alla riforma del 2001 le distanze fra il nord ed il sud sono cresciute.
Inutile, anzi ipocrita, lamentarsene, se non si fa niente per cambiare.

 
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