Cosa chiedere a un aspirante primo cittadino

di Ferdinando BOERO
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Sabato 22 Ottobre 2016, 15:40
Prima di “chi” mettere a governare Lecce, forse sarebbe bene definire “cosa” la città debba chiamare a realizzare il suo sindaco. Da una parte, sull’onda di un articolo del direttore Scamardella, alcuni esponenti della società civile hanno iniziato un dibattito di contenuti, dall’altra pare che i partiti stiano dibattendo su “chi” li debba rappresentare ma non è ben chiaro per fare “cosa”. Per poi definire anche “come” e “quando”.

Ognuno, ovviamente, ha le sue priorità. Per me, visto il mestiere che faccio (sono professore all’Università), l’Università dovrebbe essere al centro della vita cittadina. Se non altro perché rappresenta, come bilancio, la realtà economica più importante del Salento. Una città di centomila abitanti che ospita tra i trenta e i ventimila studenti (a seconda degli anni) non può non essere segnata fortemente da questa presenza. La partecipazione della città e dell’intero Salento alla vita della sua Università dovrebbe essere ben maggiore di quel che è. Si dice sempre che l’Università si chiude nella “torre d’avorio” ma spesso avviene che sia il cosiddetto territorio a non rendersi conto del patrimonio culturale che si sviluppa nel centro più importante di alta formazione. Bisogna finalmente far diventare Lecce una città universitaria. Al candidato sindaco chiederei se ha questo obiettivo e come intende realizzarlo.

Le potenzialità di questo aspetto sono enormi. Se l’Università del Salento riuscisse ad attirare studenti da tutto il bacino del Mediterraneo (abbiamo costruito l’Isufi per questo) invece che essere un ammortizzatore sociale per il territorio, si potrebbero innescare processi di internazionalizzazione dai risvolti impensabili. Lo ha detto Renzi, mi pare, e sono d’accordissimo: ogni comune dovrebbe avere un ufficio specializzato in produzione e gestione di progetti europei, in modo da utilizzare al meglio l’opportunità di questi finanziamenti. Bisogna riqualificare chi già lavora nelle amministrazioni, e bisogna formare nuovo personale che sia in grado di gestire questioni complesse. È l’Università che ha le prerogative per un’impresa del genere e si tratterebbe di un “prodotto” (l’esperto in progettualità europea) di valore nazionale, e non solo locale.
 
Vorrei sapere cosa intende fare, un aspirante sindaco, del progetto Lecce Capitale Europea della Cultura. Che rapporto ha la città con la cultura? Abbiamo preso zero voti. Quindi basta cultura? Ce ne dimentichiamo? O questo sonoro schiaffone ci permette di vedere più chiaro quel che non va e di progettare qualcosa di differente? Anche in questo caso l’Università dovrebbe avere un ruolo chiave, visto che è la “fabbrica di cultura” per eccellenza. 

Queste potrebbero essere strategie di lungo termine, ma poi bisogna pensare anche alle contingenze, alle tattiche. Il traffico, la movida, il collegamento con le periferie, le marine, i parcheggi, i rifiuti, i servizi ai cittadini. C’è un’ordinaria amministrazione che va portata avanti. Ma quel che conta, secondo me, è la visione di medio e lungo termine. Cosa vuole diventare Lecce? Come intende proporsi a un turismo che sta diventando sempre più vivace e pervasivo? Ci piacerebbe vivere in una città dominata dai turisti, come Venezia o Firenze? Cosa proponiamo a chi ci viene a visitare? I musei della città, le chiese, i palazzi, sono all’altezza delle aspettative di un turismo qualificato? Le strutture di accoglienza sono di altissima qualità (checché ne dica Briatore). Abbiamo un immenso patrimonio reputazionale. Quando, 30 anni fa, sono partito da Genova per stabilirmi qui, i miei concittadini mi guardavano increduli: Lecce????? Ora, quando dico che sto a Lecce mi dicono: ah, Lecce! Anche i miei colleghi stranieri sanno di Lecce e sanno che è bellissima. Torno all’Università. Abbiamo attivato un corso di laurea in inglese, e vengono studenti da tutta Italia e dall’estero. Gli studenti “di fuori” emigrati qui per avere un’istruzione superiore sono entusiasti. La vita costa immensamente meno che in città come Milano o Roma, le strutture universitarie sono ottime, la città è bellissima e la gente è piacevolissima e accogliente, i dintorni sono dello stesso livello, la città è viva, pulsante. Studiare da noi è vantaggioso economicamente, se il livello dell’offerta formativa è alto. Poi vengono i genitori a “vedere come va”, e restano presi anche loro. Alta formazione, cultura, bellezza. In un contesto che funzioni.

Forse, a livello cittadino, è possibile iniziare a sburocratizzare la vita dei cittadini. Siamo già sulla buona strada. Ho fatto la carta d’identità elettronica. Sono entrato nell’ufficio comunale e dopo pochi minuti uscivo col mio documento. Mi hanno fatto anche la foto. Ah, all’aspirante sindaco chiedo che trovi un modo per incentivare la presenza di negozi. Una città senza negozi è morta. In questo senso gli immigrati ci stanno aiutando perché i loro negozi sono aperti 24 ore al giorno, o quasi. Ma la qualità deve aumentare. Se vogliamo presentarci come una città di alto livello non possiamo avere bancarelle e negozi che vendono merci di scarsa qualità. E dobbiamo riallestire il mercato dove si possano trovare prezzi competitivi per i generi alimentari, senza sacrificare la qualità. Dando anche spazio ai produttori, come avviene in diverse piazze della città che, ogni settimana, sono vivificate dal commercio dei prodotti locali. 

Noi italiani siamo tutti allenatori della Nazionale di calcio, seduti comodamente sul divano. Fare davvero le cose è ben altra sfida e me ne rendo perfettamente conto. Come so che non si può scrivere un programma completo in un articolo di giornale. Però ognuno di noi deve farsi la domanda: cosa mi aspetto dalla mia città? Cosa va bene e cosa potrebbe andare meglio? La questione più importante, è inutile che si parli d’altro, è il lavoro ai giovani. Ma quello arriva se si persegue un “disegno” che apra nuove prospettive. In questo ancora la città è carente, come è carente l’intero paese. Non aspettiamo l’uomo del destino, che risolva i problemi a livello del paese intero. Noi, qui, nei prossimi anni, come pensiamo di farci carico del futuro dei nostri figli? Magari, una volta tanto, che venga dal basso il programma dei candidati. Ma, lo voglio ripetere, non voterò qualcuno che non mi dica in modo chiaro la sua “visione” per la città. E le diatribe sul nome del candidato, i giochi di potere personale, mi allontanano da chi concepisce in questo modo la politica.
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