La spirale del razzismo. Noi assediati dal Medioevo degli altri

di Stefano CRISTANTE
5 Minuti di Lettura
Sabato 9 Luglio 2016, 20:01
“Scimmia africana” è l’espressione che è stata usata da un razzista italiano per offendere una giovane donna nigeriana mentre camminava per il centro di Fermo, capoluogo di provincia delle Marche centro-meridionali. Lei, Chimiary, 24 anni, stava passeggiando a fianco del marito, Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni. Al violento epiteto è seguita una colluttazione, sulla cui dinamica sta indagando la magistratura. Fatto sta che il corpo di Emmanuel, dopo un colpo alla testa sferrato dal provocatore (ex-pugile), è rimasto a terra e il suo cuore ha smesso di battere.
Chimiary ed Emmanuel venivano dalla Nigeria. Il nome Boko Haram forse dice ancora poco ai lettori italiani, eppure si tratta di un gruppo di feroci terroristi jihadisti che tormenta la Nigeria da più stagioni. Per capire chi siano e come agiscano basta ricordare che il 10 gennaio 2015, appena un anno e mezzo fa, Boko Haram (letteralmente “L’istruzione occidentale è proibita”) imbottì di esplosivo una bambina di 10 anni e la fece esplodere provocando 19 morti.
Il giorno seguente fu la volta di altre due bambine-bomba, che fecero 3 morti e molti feriti. Da questa terra violenta erano scappati Chimiary ed Emmanuel, di religione cattolica, dopo che Boko Haram aveva assaltato una chiesa cristiana, dando la morte, tra gli altri, ai genitori di Emmanuel. L’esodo della giovane coppia è una storia drammatica purtroppo comune a molti rifugiati: in Libia sono stati aggrediti e picchiati, e durante la traversata la donna, in seguito ai maltrattamenti subiti, ha perso il bambino che aveva in grembo. Fermo, cui sono giunti dopo l’approdo a Palermo, deve essere sembrata alla giovane coppia la fine della loro Odissea. In attesa che fosse accolta la richiesta di asilo, don Vinicio Albanesi, responsabile del locale progetto “Caritas in veritate” che stava ospitando Emmanuel e Chimiary, li aveva uniti in matrimonio. Otto mesi fa. Oggi non c’è più una coppia di sposi, ma solo una vedova.
Amedeo Mancini, l’aggressore omicida, è un italiano di 39 anni, definito dalla stampa locale “vicino a gruppi neofascisti”, nonché hooligan della squadra di calcio cittadina sottoposto a Daspo. Una faccia nota alle forze di sicurezza. Quest’uomo è la dimostrazione vivente di cosa significhi il razzismo italiano. Non è un fenomeno da prendere sottogamba, è un fenomeno che esiste e che fa paura. Non arriva dal nulla, o dalla sola mente bacata di un individuo violento. Dobbiamo, in quest’epoca, sforzarci di non dimenticare, anche se i media ogni giorno recano nuovi fatti e nuovi orrori, curvando la nostra mente alla rapidissima dimenticanza. C’è chi ha usato le stesse parole di Amedeo Mancini a proposito della ministra Kyenge, invitandola a mangiare banane. C’è chi ha parlato di giocatori africani che “stavano ancora sugli alberi a cercare le banane”. Frasi di pura comunicazione politica modulati sulla costante del razzismo. Ma né il leader leghista Calderoli, il ridanciano dentista padano autore del famigerato Porcellum e che rivolse i suoi epiteti dementi alla Kyenge, né il presidente della Federazione italiana gioco calcio, Carlo Tavecchio, responsabile delle idiozie sui calciatori africani e attualmente in auge grazie alle partite vinte dalla squadra di Antonio Conte agli Europei, hanno subito sanzioni degne di nota. Si è fatta un’operazione classica di “perdonismo” all’italiana: ma in fondo scherzavano, era una battuta, magari fuori posto ma una battuta.
Sarà probabilmente la stessa giustificazione dell’omicida di Emmanuel: “scimmia africana era solo una battuta”. Così, per farsi due risate tra amici. Dopo aver abbandonato i propri averi e la propria casa nigeriana, dopo aver rivissuto le peregrinazioni terrificanti che spettano agli ultimi della terra, Emmanuel ha trovato la morte in un paese civile, occidentale, democratico, dove però il primo che passa può improvvisarsi esponente di un mondo morto alla ragione e far notare alla tua sposa che non è una persona, non è una donna, non è un altro essere umano che sta camminando pacifico per la strada. È solo una scimmia, e viene da un posto senza civiltà, l’Africa. Il senso comune del XXI secolo non prevede un pensiero razionale capace di accompagnare il razzismo. Da tempo sappiamo che esiste un’unica razza, quella umana. Eppure il malessere dell’Occidente arriva a incarnarsi in individui che percepiscono e vogliono percepire il colore della pelle altrui come il segno di uno stigma, come una caratteristica che dovrebbe giustificare un’aggressione verbale.
Dagli Stati Uniti arriva un filmato via Facebook, che stiamo vedendo un po’ tutti grazie all’ibridazione di vecchi e nuovi media: è un video agghiacciante, dove un’altra giovane donna, african-american, riprende la scena dell’omicidio del proprio uomo in automobile ad opera di un poliziotto che apre il fuoco dopo aver chiesto i documenti al compagno della donna. Questi, Philando Castile, 32 anni, non fa nemmeno in tempo a infilare la mano alla ricerca della carta di identità che viene giustiziato dal poliziotto. La donna continua a riprendere, la sua voce descrive con puntiglio l’accaduto. Ci si chiede come sia stato possibile che, all’interno di una dinamica di tale violenza, una persona abbia potuto continuare a riprendere la scena senza urlare, senza piangere, senza agire in altro modo. La spiegazione è un colpo allo stomaco: la donna sapeva che un’eventualità del genere, nei civili Stati Uniti, poteva accadere. Aveva evidentemente già vissuto mentalmente una possibilità del genere, che si è tragicamente avverata. Cinque poliziotti sono stati ieri uccisi in un attentato a Dallas, e gli omicidi sembrano senz’altro collegati all’uccisione di Philando Castile. Si sta verificando una spirale di violenza che ha al suo centro lo spettro di una guerra razziale.
Il razzismo è stato l’ingrediente obbligatorio del fascismo e del nazismo. Distogliere l’attenzione da questi fenomeni nel momento in cui la globalizzazione planetaria sembra nutrirsi di disuguaglianze mai prima verificatesi nella storia dell’umanità significa alimentare una zona grigia fatta di omertà e di giustificazionismo. Così, mentre la morte di Emmanuel scivola tra le notizie di secondaria importanza già il giorno seguente all’omicidio, l’Occidente sembra cadere in trappole antiche, assediato dai Medioevi degli “altri” ma, soprattutto, imbarbarito dalla sua stessa incultura politica.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA