Arte e cultura, un patrimonio ancora trascurato

di Ferdinando BOERO
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Martedì 18 Aprile 2017, 19:23 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 17:59
Bello l’articolo di Stefano Cristante sulla Grotta dei Cervi, pubblicato da Quotidiano sabato scorso. Con finale decisamente ottimistico: il Salento fa sul serio con l’arte e la cultura. Da una parte concordo, dall’altra ho qualche dubbio. Che ci sia un patrimonio artistico e culturale enorme, in Salento, è un fatto.

Partiamo dalla notte dei tempi, con il neolitico appunto, e anche prima. Il Museo dell’Ambiente dell’Università del Salento, diretto da Genuario Belmonte, contiene un patrimonio formidabile di testimonianze fossili della vita che, prima di noi, ha dominato questa terra. Vita marina, ricca di grandi balene e antenati di capodogli, come lo Zygophyseter varolai, dedicato a Angelo Varola, lo studioso salentino che ha portato alla luce gran parte delle meraviglie incastonate nella pietra leccese. Poi arriva l’uomo, e caccia i grandi mammiferi, come i cervi, che abbondavano nelle nostre terre. E’ stata Virginia Valzano, dell’Università del Salento, a ricostruire in modo tridimensionale questa grotta che nessuno può vedere ma che tutti dovrebbero vedere. Ho visto qualcosa di simile ad Altamira, in Spagna. Accanto alla grotta, che non si può vedere, c’è una ricostruzione fedele che la mostra a tutti. Alla fine del neolitico, 10.000-15.000 anni fa, gli uomini escono dalle caverne e ergono i megaliti. Dolmen, menhir e specchie sono abbondantissimi in Salento e l’amore per le pietre non ha più abbandonato i salentini, diventati maestri nell’assemblarle per fare muri e costruzioni, per tagliarle nelle cave, per costruire città. I segni restano, e nell’età del bronzo, quattromila anni fa, si costruisce Roca, una città arroccata su un promontorio, studiata da Cosimo Pagliara. E’ ancora lì, in ottimo stato di conservazione. Come anche la città preservata nel museo diffuso di Cavallino, anch’essa dell’età del Bronzo, e il parco archeologico di Rudiae, studiati da Francesco D’Andria.

E si potrebbe continuare a lungo, fino ad arrivare ai Romani e al Medio Evo, e oltre. Quello che ammiriamo girando per Lecce è solo un brandello di quello che il Salento ha da offrire, e che è in mostra nel Museo Archeologico dell’Università, diretto da Mario Lombardo. 
E quindi sì, il Salento con l’arte e la cultura è in posizione di grande preminenza, da sempre. Ma oggi? La città di Roca è lasciata in abbandono, come ha denunciato recentemente il Quotidiano, i dolmen vengono distrutti dai vandali. Nella grotta di San Cristoforo, a Torre dell’Orso, ci sono iscrizioni di epoca romana, ma qualcuno ha pensato bene di aggiungerne in epoca odierna. Su quelle iscrizioni domina un bel: SUCA, a mostrare la sensibilità attuale verso queste testimonianze. 
Nessuno sa, a Lecce, che le forme di erosione della pietra leccese sono dovute alla presenza di calchi delle tane di antichi crostacei, e che la pietra leccese stessa è fatta dei gusci di minuscole creature che, in passato, vivevano sospese nell’acqua che prima copriva questa terra. 
Si è persa anche la memoria recentissima, e Salvatore Trinchese, sommo naturalista salentino a cui è dedicata la via principale di Lecce, fu trasformato in San Trinchese nei cartelli che ornano i parcheggi delle bici di scambio. 

Ho voluto ricordare i nomi di alcuni degli studiosi dell’Università del Salento, e anche i Musei. Rimando al lavoro di Livio Ruggiero chi volesse saperne di più: le conoscenze sono coltivate, si creano anche strutture che le mostrano al pubblico, si formano specialisti per la cura di questi beni culturali, ma non si trova riscontro a tutto questo nell’organizzazione del vivere civile. Incuria, abbandono, perdita di memoria. A fianco alla Grotta della Poesia c’è un’impalcatura che risale a qualche decina di anni fa, porta in un’altra grotta, piena di iscrizioni di epoca romana. Anch’essa nel più completo abbandono. Le recinzioni sono divelte. Attorno: spazzatura.
Intanto aumentano le costruzioni abusive lungo la costa e chi osa protestare per la loro invasività viene accusato di fermare il progresso. Come avvenne all’assessore Barbanente quando propose un piano delle coste che intendeva salvaguardare il patrimonio naturale e culturale costiero. I sindaci la accusarono di fermare il “progresso”, inteso come asfalto e cemento. 

Confermo in pieno l’entusiasmo di Cristante: arte e cultura sono parte integrante del Salento, ma cambio il verbo della sua frase: il Salento potrebbe fare sul serio con l’arte e la cultura. Potrebbe. Invece non lo fa. Quel SUCA nella grotta di San Cristoforo, Roca Vecchia abbandonata, i dolmen profanati, fino ai muretti a secco, sostituiti da repliche fasulle perché si sta perdendo la maestria nel realizzarli, tutto indica che questo patrimonio si sta perdendo nell’oblio, come il nome si Salvatore Trinchese. 
L’Università del Salento ce la mette tutta nel creare un capitale umano (i laureati in Beni Culturali) che potrebbe prendersi cura di un patrimonio unico al mondo. Ha allestito Musei dove mostrare questo patrimonio, e continua a studiare e a trovare sempre cose nuove. Si inventa il racconto dei luoghi, il place telling, con Fabio Pollice. La lista di nomi è talmente lunga che non posso elencarli tutti.
Ho imparato tutto questo lavorando nel Sistema Museale di Ateneo, presieduto da Mario Capasso, il direttore del Museo Papirologico, perché dirigo il Museo di Biologia Marina Pietro Parenzan, di Porto Cesareo. Assieme all’Orto Botanico, diretto da Antonella Albano, e al Museo di Ecologia degli Ecosistemi Mediterranei diretto da Alberto Basset, i musei naturalistici mostrano il patrimonio naturale del Salento, un gioiello che affianca il patrimonio culturale. Ora stiamo lavorando per la realizzazione di un’Area Marina Protetta che va da Otranto a Santa Maria di Leuca, dove è stato allestito Avamposto MARE, a Tricase Porto, un centro per lo studio della biodiversità di questi luoghi. In questo caso gli amministratori si stanno mostrando all’altezza della situazione: hanno capito. Ma in molti altri casi no, siamo ancora lontani. Tutto dipende dai politici che i salentini sceglieranno per amministrare questi luoghi. Quanto di questo patrimonio è nei loro programmi? Che prova hanno dato di saperlo gestire quelli che fino ad ora hanno tenuto le redini della cosa pubblica? Hanno intrapreso battaglie di retroguardia (tipo il no al piano delle coste) lasciando il proprio territorio nell’abbandono e in balìa della speculazione, o hanno valorizzato le peculiarità che ci contraddistinguono?

Inutile protestare: questi sono gli eletti, il meglio che un territorio ha da offrire. Se si preferiscono asfalto e cemento a natura e cultura, la colpa non è loro. Sono espressione del sentire popolare. Intanto, il capitale umano formato dall’Università rimane in gran parte inutilizzato. 
E che non si dica che l’Università è arroccata nella torre d’avorio. Sette musei la calano nel territorio e i docenti lavorano da sempre per la valorizzazione del nostro patrimonio. Non siamo su una torre d’avorio, siamo rinchiusi in un recinto di indifferenza. Ma qualche breccia la stiamo facendo (anche grazie al Quotidiano). Quando fu proposta l’Area Marina Protetta di Porto Cesareo rischiai il linciaggio, assieme all’amico Cosimo Durante, mentre oggi i sindaci del tratto Otranto-Leuca mi chiamano per essere aiutati a realizzare l’Area Marina Protetta, e la città di Tricase realizza Avamposto MARE. Qualche seme inizia a germogliare. Il Salento è ricco di natura, arte e cultura, ed è il momento che si passi a fare sul serio per valorizzarle. 
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