La parabola di Lula nella polveriera brasiliana

di Stefano CRISTANTE
4 Minuti di Lettura
Sabato 19 Marzo 2016, 16:43 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 10:45
Qualche anno fa andavano forte i BRICS. Dietro la sigla immensi paesi emergenti: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. I primi effetti della crisi rivelatasi nel 2008 con lo scandalo dei subprime non si videro tra i BRICS, che anzi continuavano a macinare punti di Pil e a immettere sul mercato globale miliardi di nuovi consumatori. In questa fase la corsa dei BRICS sembra molto appesantita: il rallentamento nella crescita della Cina è ufficiale, l’India è scossa da conflitti etno-religiosi atavici, del Sudafrica post-Mandela si sa poco, l’economia russa è spesso considerata prossima al cedimento ma anche su di essa la coltre di nebbia è spessa. Chi sta peggio di tutti è il Brasile: oltre ai dati macro-economici, che vedono in forte calo il potere d’acquisto delle classi lavoratrici e una regressione delle esportazioni e della produttività, la questione che ha reso incandescente il clima brasiliano è la corruzione politica. Lula da Silva è stato il popolare ex-operaio e sindacalista sotto la cui doppia presidenza è nato il piccolo mito di un Brasile moderno, capace di strappare alla povertà milioni di persone e di accelerare lo sviluppo.

Oggi la reputazione di Lula è compromessa, proprio nella fase in cui il leader del Partito dei Lavoratori stava confermando l’idea di ripresentarsi come candidato presidente dopo il doppio mandato di Dilma Rousseff. Una presidente a rischio di impeachment, un ex-presidente perquisito e fermato. Sondaggi in picchiata per entrambi. La singola vicenda di cui è accusato Lula potrebbe anche rivelarsi una bolla di sapone e la magistratura essere accusata di prepotenze e di partigianeria, ma intanto resta il fatto che la presidente Rousseff ha nominato Lula da Silva ministro del suo governo, consentendogli così di evitare l’arresto e di non essere giudicato se non a fine mandato. Tra qualche mese in Brasile ci saranno le Olimpiadi. Molti ricorderanno che anche i recenti campionati del mondo di calcio non portarono bene al governo carioca. Specie nei primi giorni del campionato si susseguirono manifestazioni e contestazioni. La polizia si fece minacciosa e i riot scemarono. Questa volta le cose potrebbero mettersi in modo più drammatico. La crisi brasiliana è incentrata sul binomio petrolio-potere. L’indagine della magistratura brasiliana è partita esattamente due anni fa, si chiama “Operazione Auto-lavaggio” e sta portando alla luce il sistema corruttivo della Petrobras, la più importante azienda di estrazioni petrolifere del paese. Il partito di Lula ha gestito tutte le iniziative governative a partire dal 2002. Con la caduta di Lula (pur con paracadute ministeriale) emergono numerose falle nel comportamento dei governi progressisti del Sud America.

Questo aspetto riguarda anche paesi come l'Argentina, dove da poco il neo-peronismo della presidenta Kirchner è stato sconfitto alle urne dal neo-liberismo di Mauricio Macri. Prima della campagna elettorale anche in Argentina erano emersi gravi fatti corruttivi ascrivibili all’area di governo. In modo diverso stanno andando le cose in altri paesi di quell’area, come la Bolivia, dove le politiche progressiste hanno preso una piega più radicale per via della semplificata situazione sociale e di classe e della determinazione di Evo Morales. Una determinazione che è mancata ai progressisti “liberali”, anche se, nel loro primo mandato, sono state abbozzate riforme per liberare i campesinos dalla povertà e le immense favelas dal degrado, rafforzando le iniziative di alfabetizzazione e di promozione culturale.

Nel secondo mandato sono emerse invece tutte le fragilità di un riformismo istituzionale che impatta con le conseguenze della globalizzazione e con gli interessi delle grandi aziende multinazionali, sia in campo energetico che in campo agricolo. In questo contesto la corruzione esplode, balordo collante di una società sofferente e instabile. Alcuni commentatori internazionali hanno fatto notare che forse Lula non è colpevole di reati specifici e non è stato investito personalmente dalla corruzione: tuttavia una sua eventuale estraneità penale non significherebbe assenza di responsabilità politica. La considerazione più ovvia è che, come minimo, non sia stato in grado di fermare la deriva illegale di ampi settori del suo partito. Altri commentatori evidenziano il ruolo aggressivo della magistratura, che agirebbe sulla base di una cieca fiducia nelle dichiarazioni dei pentiti “autorevoli”: uno scontro tra poteri dello stato che anche noi conosciamo bene e dagli esiti contraddittori. Non a caso al centro delle violente polemiche degli ultimi giorni c’è un’intercettazione telefonica tra Dilma e Lula: in Italia sappiamo bene quanto la pubblicazione di indiscrezioni e di intercettazioni sfugga a regole certe e influenzi le dinamiche di opinione. Un giudice ha disposto la sospensione della nomina di Lula, e su di essa dovrà pronunciarsi il Supremo tribunale federale.

Infine, sul piano comunicativo si dimostra vera la convinzione che il carisma non possa essere trasmesso. Il pur controverso regime venezuelano ha retto fino a che è stato in vita Hugo Chavez e si è invece subito sfarinato nelle mani del delfino Nicolas Maduro. Il leader carismatico sembra possedere una singolare capacità di tenere aggregato il sistema, costruendo un’identità di gruppo che appare il valore più elevato della dignità politica. Senza il retroterra progettuale e di studio dovuto – ciò che produce una pluralità di leader legittimi, e non un potere monocratico-salvifico – il carisma individuale non può essere impiegato come bene trasmissibile. Senza la corona del carisma in capo e senza saper evocare una comunità immaginaria facendola coincidere con i sentimenti del leader, i governanti progressisti sudamericani e di ogni altra parte del mondo (Europa ovviamente compresa) oscilleranno tra diversi capi-fazione, nessuno dei quali in grado di ammettere che una politica moderna e progressista non esiste se non combatte la precarietà, se non difende l’ambiente, se non fa leggi che diano di più a chi ha troppo poco, se non si prende in carico un gigantesco processo di istruzione e di acculturazione collettiva, se non tiene l’illegalità ben lontana dal governo. Ciò che Lula aveva promesso, e che difficilmente sarà in grado di realizzare nel suo nuovo ruolo di ministro per grazia politica ricevuta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA