Dior e i posti di lavoro: il coraggio delle imprese e la politica assente

Dior e i posti di lavoro: il coraggio delle imprese e la politica assente
di Vincenzo MARUCCIO
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Lunedì 6 Novembre 2023, 09:52 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 12:51


Per fortuna che ci sono. Un gruppo di capitani coraggiosi ha tenuto duro nei momenti difficili e ora "vola" tra fatturati e dipendenti facendo del sistema moda un'eccellenza del territorio. Fosse stato per le classi dirigenti staremmo ancora a inseguire bandi pubblici farraginosi o infrastrutture rimaste nel libro dei sogni. Fra tempi biblici e ingorghi procedurali.

La svolta


Per fortuna che hanno fatto da sè preferendo la vita di fabbrica a certi convegni buoni soprattutto a fare passerella. La Sneakers Valley è cresciuta in un fazzoletto di Puglia diventando irrinunciabile per i marchi del lusso: gli stabilimenti di Casarano della holding di Antonio Filograna Sergio che ora fanno gola ai francesi di Louis Vuitton e Dior del gruppo Lvmh; Gda di Galatina che lavora per le firme più celebri; Gianel Shoes tra Casarano e Supersano, esclusivista Dolce&Gabbana.

La strada maestra che percorrono anche Barbetta a Nardò e Sps a Collepasso nell'abbigliamento. Quasi sempre self made man. Qualità, know how del personale e fiuto imprenditoriale. Ricetta vincente che ha fatto la fortuna del distretto "gemello" del calzaturiero di Barletta e che ha consolidato tra Martina Franca e Locorotondo l'la ascesa nell'alta sartoria di brand come Tagliatore, Rossorame e Latorre ben oltre il contoterzismo.

La politica assente


La politica è stata assente per almeno un decennio. O, se c'è stata, ha brillato per l'incapacità di trovare soluzioni a nodi atavici, tra occasioni perdute e obiettivi mancati. Il Pit 9 è la cartina di tornasole: un piano da 18 milioni di euro risalente a 20 anni fa e che, invece, non è mai partito. Per un paradosso banale: co-investimenti in macchinari che, per quantità e tipologia, nessun privato riteneva fattibili. «Quando avremo i fondi, e se mai li avremo, il mercato sarà già cambiato. Meglio fare di tasca propria». Questo il commento, poi il finale scontato.

Zero domande e milioni mai utilizzati. Ri-evocati, di tanto in tanto, in qualche comunicato stampa. Come nel caso dello scalo ferroviario di Surbo che queste merci d'eccellenza avrebbe dovuto far viaggiare per liberare le autostrade dai tir: un terminal a ridosso di Lecce abbandonato da 15 anni che avrebbe risolto il gap dei collegamenti. Sopralluoghi, foto bipartisan per giornali e tv e rassicurazioni puntualmente smentite: un altro bando-flop nonostante l'interesse dei big players. Poi, il nuovo annuncio: un contratto di programma Rfi-Mit da 10 milioni di euro più altri 14 milioni per rendere lo scalo concorrenziale. Inserito - che sollievo - nel perimetro delle Zes finalmente verso l'auspicata sburocratizzazione: prima, vera svolta pubblica per uscire dal pantano. Certo, Filograna e gli altri non si fanno illusioni: ben vengano i binari all'avanguardia, ma meglio tenere i motori accesi. Quelli delle fabbriche e quelli dei tir. Si vota ogni cinque anni e, forse, son troppi. Con il fattore-tempo non si scherza. Qui si fanno sneakers, qui si va di corsa.
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