L'intervista/Luciano Violante: «La democrazia costa. Richiede cura e doveri»

Nel suo ultimo saggio, "La democrazia non è gratis", l'ex presidente della Camera s’interroga sul destino di rappresentanza e governo in Occidente, tra diritti e doveri di cittadinanza. E segnalando i pericoli (sottovalutati) delle autocrazie. Con una speranza aperta per l’Italia

Luciano Violante
Luciano Violante
di Francesco GIOFFREDI
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Venerdì 7 Luglio 2023, 05:45 - Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 21:26

Luciano Violante, già presidente della Camera e della Commissione Antimafia: la democrazia comporta anche dei “costi”, ma lo abbiamo ormai dimenticato anche per disinteresse, col rischio – lei scrive nel suo ultimo libro – di «suicidarci per distrazione».
«La democrazia è una costruzione umana, non esiste in natura e può logorarsi. Da tempo non ci occupiamo con concretezza delle discriminazioni e delle disuguaglianze, della costruzione delle classi dirigenti e dei doveri dei cittadini. Segnalo due necessità: tornare al rispetto dell’avversario e garantire il ruolo sociale degli insegnanti, che trasmettono i valori dalle generazioni adulte a quelle giovani. La democrazia è prevenzione dell’oppressione: se non si alimentano questi processi nascono le prevaricazioni».
Però la democrazia deve anche sapersi sintonizzare sullo spirito del tempo, non crede?
«La democrazia 50 anni fa aveva contenuti molto diversi rispetto ad oggi. Penso per esempio ai diritti Lgbtqia+ o al ruolo delle opposizioni politiche, ai nuovi doveri. Ma alcuni dati di fondo restano: no allo sfruttamento di un individuo sull’altro, vanno garantiti i diritti umani fondamentali, nessuna concentrazione di poteri pubblici nelle mani di pochi».
Il punto è anche il disinteresse nei confronti di politica, doveri, partecipazione. Il che rende spesso la democrazia poco adeguata ai tempi.
«Il disinteresse è reciproco. A volte il mondo politico non mostra attenzione per i problemi concreti dei cittadini. E poi manca il conflitto tra le diverse visioni strategiche del futuro: la partecipazione a questi grandi conflitti aiuterebbe l’adesione alla vita politica. Se invece del conflitto c’è solo il bisticcio a solo uso di telecamera, i cittadini si disinteressano».
Lei indica nella tutela strenua dei diritti il discrimine tra democrazie e autocrazie. Però da un lato avverte i rischi della cancel culture e della pretesa di trasformare qualsiasi desiderio in diritto; e dall’altro insiste sull’etica dei doveri.
«Non ogni desiderio è diritto, il passaggio comporta uno spostamento dalla sfera privata del desiderio alla sfera pubblica del diritto con interventi delle istituzioni e delle regole pubbliche. Ogni diritto ha un costo. I desideri invece non hanno costi. La cancel culture ha ragione su molte cose, su altre è ridicola: per esempio nella pretesa di cancellare alcuni classici della letteratura per accenni a discriminazioni sessuali. E poi c’è il tema dei doveri, certo: abbiamo dimenticato la loro centralità nelle democrazie. Il diritto è espressione del singolo, il dovere lo è della comunità. E se la comunità non sta insieme, nemmeno i diritti vengono garantiti».
Le autocrazie sono sempre forti e presenti, ben più di quanto potessimo immaginare. E utilizzano tutti gli strumenti, anche i più moderni. È un pericolo che abbiamo sottovalutato, negli anni?
«Le autocrazie sembrano più rapide nelle decisioni. Ma un sistema va valutato complessivamente, anche in relazione a diritti e libertà. La democrazia, sia chiaro, deve fare i conti con la velocità, la società oggi questo esige e i modelli novecenteschi non sono veloci. La creazione di nuovi caratteri della democrazia è fondamentale, altrimenti prevale l’autoritarismo».
Lei si concentra molto sulla Russia di Putin, «leader globale dell’antiliberalismo», e sulle interferenze russe nelle democrazie occidentali. L’invasione in Ucraina ha dimostrato come in Italia e in Europa ci siano, anche sorprendentemente, simpatie putiniane. Questa guerra è uno spartiacque anche in tal senso?
«In Occidente ci sono state campagne organizzate in favore di Putin. Ma non dimentichiamo che la pace è come la democrazia, va costruita mettendo in campo interventi che prevengono l’uso della violenza. Quando abbiamo visto la prima volta la colonna di carri armati che invadevano l’Ucraina, forse avremmo dovuto muoverci per evitare l’escalation. Non si può essere solo spettatori».
La Cina, altro grande player internazionale, si pone al di qua della democrazia: il capitalismo della sorveglianza, i big data e l’Intelligenza artificiale. Quanto dobbiamo preoccuparci?
«Dobbiamo preoccuparci di rendere l’Ue un soggetto forte, importante, autorevole, creando un controcanto democratico, con un’alleanza vera dei Paesi democratici, dall’Occidente, al Giappone, all’Australia».
Le riforme dovrebbero essere uno strumento di manutenzione delle democrazie. In Italia però falliscono puntualmente. È una democrazia senza politica? La Costituzione ha affidato la tenuta e la stabilità più che alle regole, alle decisioni dei partiti. Che però non ci sono più, di fatto.
«Il sistema costituzionale è stato costruito dopo la guerra per consentire ai partiti di tenere in mano le redini del quadro istituzionale, con flessibilità e negoziabilità. Ma presupponeva partiti forti: ora si tratta di spostare le decisioni dai partiti alle istituzioni. E le riforme di Berlusconi e Renzi ponevano la questione ma sono state bocciate dai cittadini. In ogni caso, basterebbe poco».
Quali riforme ci vorrebbero?
«Primo: la fiducia solo al presidente del Consiglio, che forma il governo successivamente e senza mediazioni con i partiti. Secondo: la sfiducia costruttiva al governo, indicando subito il nuovo premier. Terzo: il voto in seduta comune per fiducia, sfiducia, leggi di bilancio e costituzionali».
Il presidenzialismo è una soluzione per contemperare un po’ tutto?
«Invito a guardare cosa sta accadendo negli Usa: il presidenzialismo priva un Paese della possibilità di avere un arbitro che nei momenti di difficoltà può risolvere i nodi. E poi, una battuta: Chiara Ferragni ha 27 milioni di follower, il centrodestra ha raccolto 14 milioni di voti...insomma starei attento».
C’è un rischio di svolta autoritaria in Italia?
«Non vedo questo rischio, ma di sicuro la destra fa la destra, preferendo alla rappresentanza la decisione, che comunque in una maggioranza pluripartitica resta complicata: lo abbiamo visto con i continui rinvii sul Mes o sulla nomina del commissario per l’alluvione in Emilia Romagna. In una coalizione di governo, di qualsiasi colore, dopo i primi dieci giorni ciascun partito cerca di prevalere sull’altro».
Lei è tra i saggi che si sono dimessi dalla commissione Lep, presieduta da Sabino Cassese, propedeutica all’autonomia differenziata chiesta da alcune Regioni. Cosa è successo?
«Il documento di alcuni componenti è chiaro: l’andamento non era tale da garantire il principio di uguaglianza tra cittadini. Io mi sono dimesso in precedenza, per i miei impegni non potevo lavorare a tempo pieno, ma condivido il documento. C’era però il rischio, per fare in fretta, di premiare solo alcune Regioni più forti e di compromettere la tenuta sociale del Paese».
Quasi un mese fa è scomparso Silvio Berlusconi: lo ritiene anche lei l’iniziatore del populismo, o ha “solo” cavalcato un’onda già montante con Tangentopoli?
«Il populismo emerge ogni volta che c’è antagonismo sociale contro la politica. Berlusconi si presentò nel momento più basso per i partiti italiani come rappresentante della società contro la politica. Ma noi all’epoca di Tangentopoli non capimmo che stava crollando un intero sistema, non solo i singoli partiti».
Molti dei problemi della sinistra, e della sua identità, non dipendono anche da un irrisolto rapporto tra diritti e doveri in democrazia?
«Il problema è di tutto l’Occidente: la globalizzazione è governata da finanza e alta tecnologia che sono sovranazionali, non dei singoli Stati, La sinistra ha l’obiettivo modificare lo stato delle cose verso il meglio, ma se i processi non sono controllabili dai singoli Stati e non si inventa una nuova teoria politica della democrazia, la difficoltà è inevitabile».
Eppure lei non è pessimista. E ritiene che l’Italia abbia i fondamentali per preservare la propria democrazia.
«Abbiamo avuto nove stragi, tre tentativi di colpo di Stato, due opposti terrorismi con circa 500 morti, un uomo di Stato, Aldo Moro, sequestrato e ucciso, governi che durano in media un anno e mezzo.

Eppure siamo tra i paesi più forti del mondo. Quanti altri Paesi sarebbero sopravvissuti?».

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