«L'affiliato alla Scu fece drogare e violentare la ex per vendetta»

«L'affiliato alla Scu fece drogare e violentare la ex per vendetta»
di Erasmo MARINAZZO
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Giovedì 20 Luglio 2023, 07:54 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 14:28

Il capo clan avrebbe garantito la protezione di quell'affiliato accusato di avere violato il codice mafioso sul rispetto delle donne: aveva organizzato un piano per drogare, ubriacare e fare violentare la sua ex. Per vendicarsi. Perché lo aveva lasciato. Ed avrebbe assistito impassibile agli abusi sulla ex compagna e convivente consumati da un transessuale contattato attraverso una escort. Un caso all'attenzione della Procura di Brindisi che ha aperto un fascicolo per violenza sessuale, ma con risvolti anche nell'inchiesta sull'organizzazione mafiosa guidata - questa l'accusa - da Gianluca Lamendola, 34 anni, di Brindisi.
Cosa c'entra l'abuso su una donna con l'indagine sulla nuova Sacra corona unita? I rimproveri mossi dal boss all'affiliato sono stati ritenuti una conferma del suo ruolo di capo clan e dell'esistenza dell'associazione mafiosa, dall'inchiesta condotta dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, con i carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni: «Quelle erano c...che fai. Che poi si ritorcono contro tutti, contro a me. Capito?». Lamendola si preoccupò che le indagini sulla violenza sessuale avessero potuto esporre il clan e scoprirne sia la sua esistenza che l'operatività nello spaccio in cui quell'affiliato si era dimostrato particolarmente abile ed affidabile, tanto da meritarsi la protezione del boss, spiega la giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Maria Francesca Mariano, nell'ordinanza di custodia cautelare che ha visto 21 persone finire in carcere ed una ai domiciliari.

«Per vendicarmi»

Le indagini sull'associazione mafiosa erano in corso quando nell'estate del 2020 l'affiliato pianificò quell'episodio che nell'ordinanza viene definito di «bestialità terribile». Per questo in sala intercettazioni i carabinieri ascoltarono la telefonata fra quell'affiliato e la madre, intanto contattata dai genitori della ex dopo che il referto medico confermò che fosse stata drogata con la cocaina e che mai prima di quella volta avesse assunto droghe. In quella telefonata ai rimproveri aspri della madre avrebbe risposto rincarando la dose: «Per vendetta così gliel'ho consegnata, hai capito?». Al fratello raccontò invece di avere pianificato a tavolino la nuova convivenza, dopo la separazione. Per vendicarsi perché lei lo avrebbe tradito: «Dopo quel fatto lì non stavo più bene con..., me l'ero ripresa con l'unico scopo che dovevo farla diventare una m...e gliela dovevo consegnare a casa. Per vendicarmi. E così ho fatto».
Un comportamento disapprovato dal capo clan Gianluca Lamendola perché il rispetto per le donne è contemplato nel codice mafioso (durante l'agguato a due uomini in auto volle sincerarsi che non ci fossero donne) come è anche è contemplato il dovere mantenere un basso profilo per non attirare l'attenzione degli investigatori e dell'autorità giudiziaria. Per questo Lamendola si sarebbe arrabbiato e a parte che rimproverare e minacciare quell'affiliato sarebbe andato ben oltre se fra i due non ci fosse stato un rapporto consolidato anche con la detenzione in carcere, sostengono le carte dell'inchiesta: «Non parlare, non parlare, altrimenti quando vengo ti prendo e ti sparo, forse non stai capendo credimi».
Una scelta su cui si è soffermata la giudice dell'ordinanza: «Lamendola teneva con sé..., nonostante tutto, nonostante avesse messo in pericolo l'interza associazione e nonostante avesse calpestato le regole minime definite con chairezza dal capo. E infatti gli diceva: fino a che prezzo sei pronto a pagare per stare vicino a me?. Ed alla risposta affermativa diceva: se dovevi morire saresti già morto, mi stai sentendo?»
Per scongiurare altri comportamenti compromettenti per il clan, Lamendola avrebbe disposto il trasferimento di quell'affiliato dal suo paese in una località nel provincia Nord di Brindisi.

Con divieto assoluto di mettere piede nella sua comunità.

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