PERUGIA - «Appestati, reietti, abbandonati per un mese: così ci siamo sentiti. Soli, senza mai nemmeno una telefonata o un medico che venisse a visitarci. Quattro persone in casa e tutte positive al coronavirus. Chi ci ha aiutato? Solo due quasi ottantenni, esattamente quelli che qualcuno giudica inutili e improduttivi». È un fiume in piena Cecilia, arrabbiata, delusa. Che solo adesso che la sua famiglia è guarita decide di raccontare cosa è stato il virus per loro: «Abbandono. Totale».
In casa sono lei e suo marito, poco più che quarantenni, e i due bambini di 6 e 9 anni. La loro storia inizia il 21 settembre, quando al più piccolo viene un po' di febbre. Niente di che, tanto che anche il pediatra pensa a una semplice influenza. Cecilia però non lo manda a scuola. «Era il periodo delle elezioni, la scuola era stata aperta solo una settimana quindi eravamo tutti convinti fosse stata solo influenza – sottolinea Cecilia -. Nel frattempo, però, la febbre viene anche a noi tre, con un po' di mal di testa, ma io perdo gusto e olfatto e mi sento sempre spossata. Per il medico è ancora influenza e non ci preoccupiamo. Finché la domenica scopriamo che la classe del bambino è in quarantena: chiamiamo subito la guardia medica, che attiva i controlli e in effetti il martedì successivo, il 29, ci fanno il tampone. Tutti positivi, con la certezza che nostro figlio sia stato infettato in quell'unica settimana di scuola».
«Da lì è partito quell'incubo di solitudine e abbandono - denuncia Cecilia -. Pure con la spazzatura in casa per due settimane perché nessun operatore poteva venire a ritirarla. Ma soprattutto senza un medico che ci venisse a visitare, senza mai riuscire a parlare con la Asl per avere informazioni anche banali e il medico dell'Usca, che soltanto grazie a un dottore volenteroso che ha preso a cuore il nostro caso contattando il professionista a cui sulla carta saremmo stati affidati, che ci ha chiamato solo per parlare di una mia terapia, dicendo che avrebbe dovuto chiamare il nostro medico di base e invece non l'abbiamo mai più sentito». Con un'aggravante, secondo Cecilia. «Io sono leggermente ipertesa – spiega – faccio una terapia per questo e in quei giorni, oltre a tutto il resto, ho avuto due crisi, tra vomito e battito cardiaco a 130.
Magari quella di Cecilia e la sua famiglia è stata una sfortuna, un buco nel sistema, ma di certo quel mese è stato durissimo. «Siamo andati avanti solo perché siamo abbastanza giovani da aver potuto sfruttare internet per gli acquisti alimentari – conclude -, ma in realtà le uniche persone che ci hanno davvero aiutato sono state un 76enne e un 78enne che vivono nel nostro condominio, che uscivano per farci la spesa quando qualcosa come latte e pane non arrivava. Ci hanno anche anticipato i soldi, per paura di prendere qualcosa dalle nostre mani, poi bussando e lasciandoci le buste fuori dalla porta. Sono i più a rischio, c'è chi li ritiene inutili e invece sono stati i nostri unici angeli».