Botte, insulti e auto imbrattata di feci: ex condannato, ma ecco perché non merita il carcere

Il tribunale penale di Perugia
Il tribunale penale di Perugia
di Egle Priolo
2 Minuti di Lettura
Sabato 20 Aprile 2024, 08:54

PERUGIA - Botte e minacce di morte. Tra insulti e persino feci a imbrattare la macchina della ex. Per cui è stato condannato a sei mesi e al pagamento di tremila euro, più le spese, il perugino accusato inizialmente dal pm Mara Pucci di minacce e lesioni nei confronti della ex compagna. Per cui ha rischiato una condanna decisamente più grave.

Ma il giudice Sonia Grassi ha riqualificato i capi di imputazione in minacce e percosse, decidendo non solo per la sospensione condizionale della pena ma anche per la non menzione della condanna. Ha avuto quindi decisamente un peso la tesi difensiva dell'uomo, assistito dall'avvocato Marco Piazzai, che invitava in qualche modo a vedere in controluce le accuse con le relazioni presentate al tribunale dei minorenni (la coppia ha un figlio, all'epoca dei fatti contestati minorenne) con cui l'attendibilità della presunta vittima veniva in qualche modo scalfita.
La procura ha parlato di «un'ostinata e incontrollabile gelosia» di espressioni «screditanti la sua figura di donna (“sei una poco di buono”, “adesso vai a lavorare? Ti fai anche pagare?”)», ma anche di pedinamenti e appostamenti, finiti – secondo le accuse – con l'uomo «in escandescenze anche alla presenza del figlio e in una occasione passando alle vie di fatto, così da indurla più volte a richiedere ausilio ai carabinieri».

E poi la minaccia: «Tanto ti ammazzo, ti seppellisco e non ti trovano più». Fino a quel biglietto sul parabrezza, con l'auto imbrattata di feci, che faceva più o meno così: «Sei una m... e come tale vai trattata». Ma, dalla sua, l'uomo si è sempre difeso, contestando le accuse pure con testimonianze e relazioni finite sul tavolo del tribunale dei minorenni, che per esempio nel frattempo ha disposto che il bambino stia con il padre per alcuni disagi di cui soffre la madre, assistita dall'avvocato Daniela Panzarola.

© RIPRODUZIONE RISERVATA