'Ndrangheta a Verona: Flavio Tosi indagato per peculato. 26 misure cautelari. Coinvolti imprenditori e amministratori pubblici Video

'Ndrangheta a Verona: gruppo locale ma collegato agli Arena-Nicoscia. Scattano 26 misure cautelari
'Ndrangheta a Verona: gruppo locale ma collegato agli Arena-Nicoscia. Scattano 26 misure cautelari
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Giovedì 4 Giugno 2020, 08:36 - Ultimo aggiornamento: 5 Giugno, 08:10

VERONA - L'ex sindaco di Verona, Flavio Tosi, è tra gli indagati nell'inchiesta della Dda di Venezia che ha portato oggi a 26 misure cautelari, tra le quali 23 arresti, a carico di un'associazione criminale che agiva nel capoluogo scaligero, riconducibile alla cosca dell'ndrangheta degli Arena-Nicoscia. Nei confronti dell'ex sindaco l'accusa è concorso in peculato. Nell'inchiesta i reati ipotizzati, a vario titolo, sono quelli di associazione mafiosa, truffa, riciclaggio ed estorsione. Tosi, si apprende dalle carte dell'indagine, è invece accusato di concorso in peculato in relazione alla distrazione da parte dell'ex presidente della municipalizzata dei rifiuti Amia, Andrea Miglioranzi (ai domiciliari) di una somma «'non inferiore a 5.000 euro» per pagare la fattura di un'agenzia di investigazioni privata, su prestazioni in realtà mai eseguite in favore di Amia, ma nell'interesse di Tosi.

LA REPLICA
L'ex sindaco ha diffuso una nota: 
«Non ne so nulla, ne uscirò totalmente estraneo, come in tutte le altre occasioni. Da sindaco sono sempre stato rigorosissimo nel mio mandato, tanto da non avere utilizzato per molti anni autisti e veicoli a carico del Comune pur avendone diritto, facendo risparmiare alle casse pubbliche decine di migliaia di euro, pagando di tasca mia anche quando non ne sarei stato tenuto, quindi la presente indagine nei miei riguardi (che mi risulta rivolta a tutt’altri aspetti e che anche stavolta apprendo dai mass media) mi fa francamente sorridere.
Nel 2006 da Assessore regionale subii addirittura una perquisizione domiciliare, salvo poi essere totalmente prosciolto: il magistrato di turno mi querelò per la mia replica piuttosto forte, il che mi costò migliaia di euro per aver proclamato e difeso la mia innocenza. Lo stesso copione si è ripetuto altre volte nel tempo, da ultimo nel 2014, ed il sottoscritto ne è uscito totalmente estraneo, tanto per cambiare. Pertanto ho moderato i toni della presente risposta, per evitare di essere querelato da qualche collega di Palamara, per il rispetto che provo nei confronti della Magistratura e dei tanti togati realmente indipendenti, ma certamente non di tutti. Non aggiungo altro: le querele da parte di magistrati risentiti dalle mie dichiarazioni mi sono costate abbastanza...
».

LE INTERCETTAZIONI - Leggi

L'inchiesta a Verona: arresti e indagati
L'inchiesta coordinata dalla Dda di Venezia, ha portato all'emissione da parte del Gip di 26 misure cautelari nei confronti di altrettanti soggetti accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, truffa, riciclaggio, estorsione, traffico di droga, corruzione, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di beni e fatture false. In carcere sono finite 17 persone mentre nei confronti di altre 6 sono stati disposti gli arresti domiciliari e per 3 è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le indagini sono state condotte tra il 2017 ed il 2018 da un gruppo di lavoro composto dagli investigatori della prima divisione del Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia e dai poliziotti delle squadre mobili di Verona e Venezia, e hanno portato alla luce quelli che vengono ritenuti «gravi indizi» relativi alla presenza della 'Ndrangheta a Verona.

«L’attività non nasce da notizia di reato — ha detto il direttore del Dac, direzione centrale anticrimine, della Polizia Francesco Messina - ma da monitoraggio di attività anche imprenditoriali sul territorio che hanno portato ad attenzionare  alcuni soggetti che non sembravano far parte di organizzazioni criminali». Il Procuratore antimafia Bruno Cherchi ha definito molto allarmante la situazione, poiché non si parla più di infiltrazione in Veneto ma di presenza radicata, considerando anche i casi di Eraclea e Padova. 

 

Due funzionari dell'Amia ai domiciliari

Dalle indagini è emerso che tutto ruotava attorno alla figura di Antonio Giardino, detto Totareddu, definito dagli inquirenti un pezzo da novanta della ‘Ndrangheta di Isola di Capo Rizzuto. Due funzionari dell’Amia, l’azienda veronese per l’igiene urbana, sono finiti agli arresti domiciliari per aver intrattenuto rapporti con l’organizzazione. Sono stati eseguiti sequestri per 15 milioni su beni immobili e quote societarie. Il business ruotava essenzialmente attorno al riciclaggio di ingenti quantità di denaro provenienti dallo spaccio di sostanze stupefacenti.
 

Ndrangheta: contatti con la pubblica amministrazione

«In Veneto ci sono poche ipotesi di usura e attività violenta. Ci sono - ha detto il procuratore di Venezia Bruno Cherchi - contatti con la pubblica amministrazione che sono nuovi per il Veneto». Lo ha sottolineato ancora il direttore del Dac, direzione centrale anticrimine, della Polizia Francesco Messina: «È una situazione molto pericolosa e allarmante. Un segnale d’allarme che al di là delle indagini dovrebbe interessare e allarmare tutti,  anche la società civile. Significa che c’e la possibilità di un contatto tra la struttura politico amministrativa e la criminalità organizzata»
 

Coinvolti imprenditori e amministratori pubblici

«È un'indagine sulla criminalità organizzata che tocca per la prima volta Verona, dopo Padova e la zona del Veneto orientale, che dimostra la presenza strutturata della criminalità organizzata in regione e nello specifico la 'Ndragheta della cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, con capo la famiglia Giardino». Lo ha detto il procuratore di Venezia Bruno Cherchi, in merito all'inchiesta "Isola Scaligera" svolta dalla Dda lagunare con la Polizia di Stato, lo Sco e le squadre mobili di Verona e Venezia. «Ancora una volta abbiamo potuto evidenziare - ha proseguito Cherchi - che la 'Ndrangheta ha valorizzato dei rapporti diversi dalla casa madre con imprese fittizie che riciclavano denaro coinvolgendo imprenditori specie edili e uomini della Pubblica amministrazione compiacenti, creando fondi cassa che poi venivano utilizzati per le più avariate attività criminali a cominciare dallo spaccio di stupefacenti. Quanto accaduto nel Veronese - ha concluso - conferma quanto accaduto in altri luoghi del Veneto ed è preoccupante».
 

Ndrangheta a Verona: come funzionava

Il boss della 'Ndrangheta che gestiva l'organizzazione nel veronese è Antonio Gardino detto Totareddu, uomo vicino alla cosca Arena-Nicoscia. L'attività del gruppo mafioso - è stato detto da inquirenti e investigatori a Venezia - ha portato al sequestro di 15 milioni di euro frutto di un'attività volta al riciclaggio ed allo spaccio di stupefacenti, con società fittizie che evadevano il fisco e creavano provviste di denaro. Non un fenomeno mafioso tradizionale ma organizzato con una rete di contatti nel territori - come hanno sottolineato il Procuratore di Venezia Bruno Cherchi e Francesco Messina, dell'anticrimine - che ha coinvolto la municipalizzata veronese Amia per lo smaltimento dei rifiuti, che faceva circolare denaro, corsi di formazione, con due dirigenti che sono tra gli indagati.
Il denaro gestito nel veronese giungeva dalla Calabria, veniva riciclato per lo più attraverso imprese edili portando ai reati di riciclaggio, estorsione ed evasione fiscale.

Ndrangheta a Verona dagli anni '90
La 'Ndrangheta si era progressivamente insediata nel veronese fin dagli anni '90. Nel corso dell'indagine coordinata dalla Pm di Venezia Lucia D'Alessandro e durata quasi tre anni, è emerso che la 'Ndrangheta veronese, guidata dal boss Antonio Totareddu Giardino, con il suo clan a Sona (Verona), pur mantenendo i contatti con la casa madre agiva sì come tramite per riciclare il denaro che giungeva dalla Calabria - con partecipazioni, riciclaggio, l'usura anche in modo violento - ma era autonoma. Oltre alla classica attività di indagine, la polizia è entrata nelle maglie dell'organizzazione, fatta a rete, che si allargava su più attività del settore pubblico e privato o legate tra loro, come la gestione dei rifiuti attraverso il controllo del territorio, e le dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Come detto da Francesco Messina, dell'anticrimine, «la 'Ndrina veronese aveva costruito una serie di rapporti stretti in un gioco "do ut des" tale da controllare le più svariate attività del territorio, forte di licenze e permessi contrattati anche con pubblici funzionari». Il modo classico era quello di dare denaro chiedendone la restituzione maggiorata, con l'impresa che riciclava soldi illeciti, e scaricare la fattura eludendo il fisco mentre l'azienda erogatrice, nel frattempo, spariva. A Totareddu l'ordinanza restrittiva è stata notificata in carcere, da dove gestiva l'attività. L'inchiesta è sbarcata a Verona dopo analoghe operazioni in Lombardia ed Emilia.

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