Yara, Bossetti condannato all'ergastolo. Lui impassibile alla lettura della sentenza

Massimo Bossetti e Yara Gambirasio
Massimo Bossetti e Yara Gambirasio
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Venerdì 1 Luglio 2016, 19:07 - Ultimo aggiornamento: 2 Luglio, 09:24

BERGAMO - Massimo Bossetti è stato condannato all'ergastolo. Così si è espressa la corte d'Appello del Tribunale di Bergamo per l'omicidio di Yara Gambirasio.

BOSSETTI IMPASSIBILE ALLA SENTENZA È rimasto impassibile Massimo Bossetti alla lettura della sentenza che lo ha condannato all'ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio.

"NON È GIUSTO, AVEVO FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA" «Non è giusto». È la prima reazione di Massimo Bossetti dopo la condanna all'ergastolo per l'omicidio della tredicenne Yara Gambirasio avvenuto il 26 novembre del 2010. Lo hanno riferito i suoi legali. Con la condanna all'ergastolo, i giudici della corte d'assise di Bergamo hanno tolto la potestà genitoriale a Massimo Bossetti in relazione ai suoi tre figli, tuttora minori.

Bossetti è stato anche assolto dall'accusa di calunnia «perché il fatto non sussiste» ai danni di un collega verso il quale, secondo l'accusa, avrebbe cercato di indirizzare le indagini. I giudici non hanno applicato l'isolamento diurno per sei mesi, unitamente all'ergastolo, come chiesto, invece, dal pm Letizia Ruggeri.

LEGALE BOSSETTI, "CONVINTO DELLA SUA INNOCENZA" «Sono amareggiato perchè la convinzione dell'innocenza è forte. Noi siamo veramente convinti della sua innocenza». Lo ha detto uno dei legali di Bossetti, l'avvocato Claudio Salvagni. dopo la condanna all'ergastolo del suo assistito per l'omicidio di Yara Gambirasio. «Queste 45 udienze - ha aggiunto - non hanno restituito nessuna prova a suo carico. È un processo indiziario». Salvagni ha ricordato che si tratta di una sentenza di primo grado e che vige il principio di non colpevolezza.

 

 





PER BOSSETTI FINE PENA MAI Non è servita l'ultima supplica di Massimo Bossetti, peraltro ben oltre il tempo limite: «Ripetete il Dna perché non è mio». I giudici della Corte d'assise di Bergamo hanno dimostrato di pensarla diversamente sulla cosiddetta 'prova reginà e, dopo oltre dieci ore di camera di consiglio, ne sono usciti pronunciando «nel nome del popolo italiano» la parola che il muratore di Mapello più temeva: «ergastolo». E ne hanno aggiunte altre, di parole, forse altrettanto dolorose per Bossetti: non avrà più la patria potestà sui suoi tre figli, ancora minorenni.

Bossetti ha accolto la sentenza senza scomporsi, sollevando gli occhi al cielo. Poco dopo, ai suoi legali ha detto «Non è giusto, è una mazzata, avevo fiducia nella giustizia». Fuori dall'aula le due donne della sua vita che hanno voluto essere presenti in aula, la moglie, Marita Comi, e la sorella gemella, Laura Letizia, si sono abbracciate a lungo, il volto solcato di lacrime. Per i giudici, quindi, è stato è stato il muratore di Mapello a prendere Yara il 26 novembre del 2010 e a ucciderla, nel campo di Chignolo d'Isola dove il corpo della tredicenne di Brembate di Sopra sarà trovato tre mesi dopo. E lo ha fatto con quella crudeltà che costituisce l'aggravante che ha comportato il carcere a vita, pur senza quei sei mesi di isolamento chiesti dall'accusa. I giudici l'hanno assolto, invece, magra consolazione, dall'accusa di aver calunniato il collega di lavoro, Massimo Maggioni verso il quale avrebbe cercato di indirizzare le indagini, «perché il fatto non sussiste».

Ha retto, quindi l'impostazione del pm Letizia Ruggeri secondo la quale non è stato accertato un movente né una «dinamica che si possa affermare con sicurezza» dell'omicidio ma esisteva «il faro», «la prova» contro Bossetti, il suo Dna sul corpo della vittima e «un corollario di indizi gravi, precisi e concordanti»: i suoi tabulati telefonici, le immagini del suo furgone nelle telecamere di sorveglianza, le fibre di tessuto sul corpo della vittima, riconducibili al suo furgone. Fuori tempo massimo la richiesta di Bossetti, processualmente irrilevante, di ripetere il Dna. Il giudice dell'udienza preliminare, disponendo il suo rinvio a giudizio, aveva spianato la strada per un rigetto in dibattimento: «Si intende riproporre l'analisi materiale biologico che è già stato oggetto di esame le cui modalità esecutive non sono in discussione peraltro chiamando in causa un Dna mitocondriale che è noto non svolge funzione identificativa del soggetto che ha lasciato la traccia».

Che le cose si fossero messe male per Bossetti lo si era capito nell'udienza in cui la Corte aveva sostanzialmente respinto tutte le richieste avanzate ex articolo 507 del Codice di procedura penale, quelle presentate all'esito del dibattimento. Accertamenti chiesti dalla difesa e ritenuti «superflui» per la decisione. Bossetti, in mattinata, si era accreditato come «una persona sempre disposta a fare del bene», tanto da adottare a distanza un bambino messicano. «Stupido, cretino un ignorantone, forse, ma non un assassino e questo lo devono sapere tutti», aveva detto. Per il pm, invece, Bossetti aveva mentito per tutta la vita, tanto che era chiamato «il Favola». I giudici, in un'aula surriscaldata, dopo quasi sei anni dalla scomparsa e contestuale omicidio di Yara, hanno calato il primo sipario (scontato il ricorso in appello) su un processo durato quasi un anno, con 45 udienze e centinaia di testimoni: hanno stabilito che è stato Giuseppe Massimo Bossetti, 45 anni, muratore, sposato, padre di tre figli a uccidere Yara Gambirasio, tredici anni, quel plumbeo pomeriggio di quasi sei anni fa. I genitori della ragazza uccisa, dopo un calvario di anni, accolgono il verdetto con la sobrietà che li ha contraddistinti per tutta la vicenda. «Ora sappiamo chi è stato, anche se sappiamo che nessuno ci restituirà Yara».


DAL DELITTO ALLA SENTENZA Un delitto crudele, un'inchiesta complessa senza eguali in Italia e nel mondo, un processo in cui la prova scientifica è stata protagonista assoluta. Dopo quasi quattro anni di indagine raccolte in 60 faldoni, un dibattimento lungo 45 udienze con decine di testimoni, per Massimo Bossetti, condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Bergamo. Dal giorno della scomparsa della 13enne ginnasta alla decisione della corte d'Assise di Bergamo ecco le tappe della vicenda: 26 novembre 2010. Sono le 18.40 circa quando Yara Gambirasio esce dalla palestra di Brembate di Sopra, piccolo comune in provincia di Bergamo, e di lei si perdono le tracce. La 13enne ginnasta va nel centro sportivo di via Locatelli per consegnare uno stereo, poi il buio la inghiotte lungo quei 700 metri che la separano da casa. Alle 18.49 il suo cellulare Lg nero viene spento per sempre. Le ricerche non trascurano nessuna pista: dall'allontanamento volontario al rapimento. 5 dicembre 2010. Mohamed Fikri, operaio di un cantiere edile di Mapello dove conducono i cani molecolari usati per le ricerche, viene fermato su una nave diretta in Marocco perché sospettato del sequestro e dell'omicidio. Pochi giorni dopo le accuse vacillano: alcune parole in arabo mal tradotte e un biglietto per Tangeri già in tasca da tempo fanno cadere l'ipotesi di una fuga. Il 7 dicembre il giovane esce dal carcere; non è lui l'assassino di Yara.

Dal ritrovamento nel campo di Chignolo d'Isola all'arresto sbagliato (AdnKronos) - 26 febbraio 2011. Mamma Maura e papà Fulvio devono smettere di sperare: il corpo della loro bambina viene trovato da un appassionato di aeromodellismo in un campo abbandonato a Chignolo d'Isola, a pochi chilometri da casa. L'autopsia svela le ferite alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessun colpo mortale: Yara era agonizzante, incapace di chiedere aiuto, ma quando chi l'ha colpita le ha voltato le spalle lei era ancora viva. Il decesso, lungo una lunga agonia, avviene quando alle ferite si aggiunge il freddo. 9 maggio 2011. Viene isolata sugli slip e i leggings della vittima una traccia biologica da cui è stato possibile risalire al Dna di 'Ignoto 1'. È una traccia trovata vicino a uno dei tagli messi a segno dall'aggressore. Ci vorranno diversi mesi e il confronto con centinaia di Dna per arrivare a dire con certezza che il sospettato è il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999. 7 marzo 2013. Viene riesumata la salma di Giuseppe Guerinoni, l'autista di Gorno, la probabilità che siano padre e figlio è del 99,99999987%, ma questo non basta per dare un nome a 'Ignoto 1'. Si riparte dal Dna mitocondriale (che indica la linea materna) di 'Ignoto 1' per dare un nome alla madre. La comparazione tra 'Ignoto 1' e il Dna di Ester Arzuffi (già in possesso degli investigatori dal 27 luglio 2012) porta al match: la probabilità che siano madre e figlio è del 99,999%.

Il presunto assassino di Yara ha un nome: è Massimo Bossetti, 44 anni originario di Clusone ma residente a Mapello. Sarà il ministro dell'Interno Angelino Alfano ad annunciare via Twitter le manette. Spostato, padre di un bambino e due bimbe, il suo Dna (acquisito con un alcoltest) combacia con 'Ignoto 1'. Per lui l'accusa è di omicidio con l'aggravante di aver adoperato sevizie e di avere agito con crudeltà. Un delitto aggravato anche dall'aver approfittato della minor difesa, data l'età della vittima. Il 27 aprile 2015 il gup di Bergamo, Ciro Iacomino, lo rinvia a processo. 3 luglio 2015. Inizia il processo contro Massimo Bossetti. A giudicare l'imputato, che rischia l'ergastolo, sarò la Corte d'assise di Bergamo composta dal presidente Antonella Bertoja, dal giudice a latere Ilaria Sanesi e da sei togati popolari. In aula non sono ammesse telecamere, né cellulari o altri strumenti che permettano di riprendere imputato o testimoni. Ai giornalisti non resta che carta e penna per seguire il processo. 11 marzo 2016. Bossetti prende per la prima volta la parola in aula. «Quel Dna non mi appartiene: è un Dna strampalato, che per metà non corrisponde. È dal giorno del mio arresto che mi chiedo come sono finito in questa vicenda visto che non ho fatto niente e voi lo sapete», dice ribadendo la sua innocenza.

L'accusa chiede l'ergastolo per l'imputato, tv fuori da aula per sentenza.
Massimo Bossetti ha ucciso Yara con crudeltà ed efferatezza. L'imputato «ha voluto arrecare particolare dolore e ci è riuscito con un'agonia particolarmente lunga» contro la vittima cagionandole «sofferenze eccessive». È quanto sostiene nella sua requisitoria il pubblico ministero Letizia Ruggeri. Condanna all'ergastolo con isolamento diurno per sei mesi la richiesta per l'uomo accusato dell'omicidio e di calunnia nei confronti di un suo ex collega, su cui ha puntato il dito. 10 giugno 2016. La difesa chiede l'assoluzione per l'imputato del processo «più indiziario del mondo, dove nessun indizio è preciso neanche il Dna». La custodia e la conservazione della traccia biologica «sono il tallone d'Achille» di un'indagine «con troppe anomalie» dove «più che l'accusa ho visto la difesa delle indagini. Qui interessa il risultato, che finalmente ci sia il colpevole». I difensori, gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, chiedono un atto di «coraggio alla giuria: assolve Bossetti. Sia fatta giustizia, non sia condannato un innocente». 1 luglio 2016. È il giorno della sentenza per l'unico imputato accusato del delitto: ergastolo. In aula, ancora una volta, non sono stati ammessi telecamere o fotografi a causa del «clima avvelenato» creatosi intorno al processo.



 

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