Chiudono Mondadori e La Cicogna, aprono ristoranti e insalaterie
Così il food cambia il volto della città

Chiudono Mondadori e La Cicogna, aprono ristoranti e insalaterie Così il food cambia il volto della città
di Alessandra LUPO
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Venerdì 10 Febbraio 2017, 08:42 - Ultimo aggiornamento: 12 Febbraio, 11:52

LECCE - Coltello e forchetta, il simbolo universale del cibo, sembrano aver interamente colonizzato il cuore di Lecce, spazzando via a forza di profumi accattivanti e birre artigianali le ombre della città vecchia, fatte di mercanti e botteghe, oggi ridotti a sparute resistenze.
Alcune settimane fa, sotto i portici di piazza Sant’Oronzo, ha chiuso i battenti la Mondadori. Ma per Lecce non si tratta solo di un’altra libreria che alla fine molla il colpo, schiacciata dalla scarsa lettura e dalla concorrenza, in questo caso dello store Feltrinelli posizionato a 50 metri di distanza. Il cartello “Affittasi” che campeggia sulla porta già da giorni è infatti la conferma, se mai occorresse, dell’inesorabile trasformazione di un segmento sempre più esteso di centro storico che da piazza sant’Oronzo si espande tra tavolini e tintinnio di bicchieri lungo le strade adiacenti dove l’avanzata dei locali che servono cibo e bevande è inarrestabile in un’economia dove questo sembra l’unico business possibile. Già perché il turismo, che alla fine ha imboccato davvero l’osannata strada della destagionalizzazione, si lega come cemento fresco alla vivacità della movida locale, fatta di un pubblico sempre più deciso a godersi gli scorci di barocco che conquistano mezzo mondo e testare i locali, decretandone il successo o il fallimento, in vista della lunga estate. E in tanti, tantissimi, provano a “svoltare”. Il buco nero del food non risparmia nessuno, basti pensare all’ottica Salomi (un piccolo colosso cittadino) che per affiancare lo showroom di via Imperatore Adriano la scorsa estate decise di concedersi una vetrinetta sulla piazza, la abbandonò in pochi mesi per fare spazio a un punto di ristoro “Spinelli caffè” di prossima apertura.
Un centro storico da vivere ma anche e soprattutto da mangiare, insomma, stando alla quantità vertiginosa di pizzetterie, paninerie e tarallinifici che si sono moltiplicati dal giorno alla notte, divorando – e proprio il caso di dirlo - negozi di oggettistica, abbigliamento, artigianato e ogni genere di attività che non avesse direttamente a che fare con l’accoglienza. Al numero vertiginoso di chiusure si aggancia poi il cambio generazionale, che non sempre trova continuità nell’attività di famiglia: è il caso de “La Cicogna”, fiore all’occhiello della città in materia di abbigliamento per bambini, che dopo Pasqua ha annunciato che chiuderà lo storico negozio su via Trinchese. In questo caso non sono gli affari ad andare male, anzi, il negozio è tutt’ora una meta imprescindibile per gli amanti di griffe e qualità che resteranno “orfani” del buon gusto di Adriana. Ma i figli dei fondatori hanno seguito altre carriere, quasi tutte fuori, e non se la sentono di tornare.
 

 

Inutile dire che se fossero aperte le scommesse i quotisti la darebbero già vinta: entro poco tempo - salvo miracoli - anche quell’angolo subirà la sua conversione al food. Nulla di nuovo, per carità, il quadro è pressoché identico in tutte le città turistiche che si rispettino, da Venezia ad Alberobello, e Lecce non poteva che adattarsi, anche visto che dopo l’abbuffata di kebab e patatine, la virata verso la qualità e la diversificazione c’è stata eccome, anche nel fast: le baguette all’angolo di via dei Mocenigo (locale sorto nella storica “Casa della Pelliccia”), le piadine vegane salentine e tanto ancora testimoniano che la ricerca c’è.
E in alcuni casi il food ha persino riqualificato angoli angusti o sbreccati della città. Un esempio è il super recensito ristorante Bros aperto un anno fa dai fratelli chef Pellegrino e già meta di culto per palati fini all’angolo di via Maremonti che ha preso il posto dello storico negozio Guacci, specializzato in oggetti per la casa e liste nozze. Ma anche il Caffè cittadino di Marco Greco e Desy Casalino nel giro di un paio di anni si è imposto come meta obbligata su via Rubichi e a brevissimo sarà raggiunto, a un paio di civici di distanza, da un locale che servirà solo insalate: Green. L’apertura della nuova insalateria è prevista a fine mese, giorno più giorno meno e anche in questo caso, anche grazie a una rinnovata attenzione alla progettazione (l’architetto è la leccese Francesca Fiore), il locale di Ninì Sangiovanni sembra destinato a modificare ancora la mappa della pausa pranzo e non solo quella. Tanto più che Via Rubichi restava il tratto mancante di un percorso ininterrotto tra Piazza Santa Chiara, terminazione totalmente food e drink di via D’Aragona, via Degli Ammirati e via Paladini (che hanno cominciato molto tempo prima), con piazzetta Castromediano, altra piazza ormai totalmente consacrata al cibo, con gusto e varietà, ma anche in questo caso rosicchiando terreno a vecchie botteghe artigiane e negozi.
Il fenomeno ha contagiato anche la zona universitaria: in primis con l’inatteso distretto Barroccio - La Succursale (dove sta per aprire un nuovo ristorante nei locali dell’ex materassificio Tornese) e le varie osterie su viale Taranto, dove non mancano persino i chioschetti prefabbricati che a pranzo servono la lasagna. Ma qui le rotte del turismo incrociano quelle studentesche e della movida più cool, a caccia di centrifugati e wi-fi. Stesso tentativo di allungamento del centro su viale Lo Re, dove accanto ai (tanti) locali già esistenti sta per aprire all’angolo con via Marconi un nuovo ristorante (firmato dalla stessa società di Fusion e Aglio e olio). Il risultato è un po’ scontato: un centro cittadino sfavillante e quasi del tutto rivalutato, dove si incontra di tutto e gli affitti sono ormai alle stelle. Per contro la battuta in ritirata delle attività destinate ai residenti, che dopo aver resistito alla forza centrifuga dei mall, ora sono costrette a inseguire il loro target di riferimento nelle aree in espansione della città. Il rischio, al netto di un inevitabile impoverimento del tessuto sociale del centro, con cui in ogni caso si è costretti a fare i conti, è che chi non esce troppo spesso vada a fare una passeggiata senza riuscire più a riconoscere interi pezzi della sua città.

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