Traffico illecito di rifiuti, tombati nel Salento. Il proprietario del fondo: «Avevo difficoltà economiche». Le ammissioni davanti al giudice

Traffico illecito di rifiuti, tombati nel Salento. Il proprietario del fondo: «Avevo difficoltà economiche». Le ammissioni davanti al giudice
di Erasmo MARINAZZO
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Mercoledì 19 Maggio 2021, 21:35 - Ultimo aggiornamento: 20 Maggio, 12:19

Ha rotto il fronte del silenzio e delle accuse respinte ammettendo che sì è vero, quei camion arrivati dalla Campania hanno sversato i rifiuti nei suoi terreni. Per tre volte. Lo ha riferito Luca Grassi, 48 anni, di Lecce, nell’interrogatorio di ieri mattina, alla presenza dell’avvocato difensore Salvatore Rollo, con il giudice per le indagini preliminari, Alcide Maritati, firmatario dell’ordinanza di custodia cautelare che lunedì ha visto dieci persone finire in carcere e tre ai domiciliari con l’accusa di traffico illecito di rifiuti: 600 tonnellate in un anno sparse nel Salento fra cave, campagne, una parte tombati ed un’altra nascosta in capannoni a volte appartenenti a persone inconsapevoli di tutto. 

Gli arrestati


Con Grassi sono tre fra i dieci arrestati in carcere che hanno risposto alle domande del giudice durante gli interrogatori di garanzia. Si tratta dell’ingegnere Salvatore Coscarella, 76 anni, di Cosenza; e Davide D’Andria, 50 anni, di Taranto. Per respingere tutte le accuse.
Gli altri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Fra questi Roberto Scarcia e Luca Di Corrado, 66e 42 anni, di Taranto, che rispondono di associazione a delinquere in quanto ritenuti i gestori di fatto del traffico di rifiuti Campania-Grande Salento. 
Ha reso dichiarazioni spontanee Palmiro Mazzotta, 74 anni, di Surbo, originario di Carmiano, linea difensiva concordata con l’avvocato Luigi Rella. Per dire di avere trovato un cumulo di rifiuti in una cava di sua proprietà e di avere provveduto a sue spese alla rimozione. Per dire di essere estraneo all’organizzazione che - sostiene questo l’accusa dell’inchiesta condotta dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Milto De Nozza, con i carabinieri del Nucleo ecologico di Torino e Lecce, nonché con il Nucleo di polizia economico finanziaria di Taranto - avrebbe fatto arrivare nella sua masseria di Surbo i rifiuti che Mazzotta avrebbe poi provveduto a spargere nelle campagne e nei boschi utilizzando dei piccoli furgoni.

Le ammissioni


Dunque, l’unico a fare ammissioni è stato Luca Grassi. Lui che risponde del capo di imputazione di traffico illecito di rifiuti aggravato insieme ad altri 17 indagati. Il capo di imputazione che ingloba i 28 trasporti di 600 tonnellate di scarti fra il 2018 ed il 2019, che sarebbero dovuti essere smaltiti regolarmente e non con tariffe ridotte fino al 90 per cento rispetto a quelle ufficiali. Per questo le sue parole hanno un peso non indifferente.
L’indagato ha riferito di tre conferimenti mentre si trovava agli arresti domiciliari con l’accusa di spaccio. Ha accettato di scendere a patti - questa la sua verità - con i trafficanti di immondizia perché era in difficoltà economiche, dovendo stare a casa senza lavorare. Una volta accortosi che quei rifiuti erano costituiti anche da guaine bituminose ed altri materiale pericolosi, decise che fosse arrivato il momento di dire basta.
Grassi costituisce l’ultimo anello di quel traffico, secondo la ricostruzione dell’accusa insieme a Palmiro Mazzotta e a Pasquale Coletta, 67 anni, di Mottola, proprietario di una cava.

Una catena costituita dalla società campana Ndr Ecorecuperi con la legale rappresentante Annunziata Di Napoli, dagli intermediari Nestore Coseglia e Antonoio Li Muli, da Oronzo Marseglia e da Franco Giovinazzo che avrebbero messo a disposizione i mezzi. Per arrivare a Roberto Scarcia, Davide D’Andria e Luca Di Corrado, indicati i gestori di questi traffici illeciti. Per sversare nelle campagne alle porte di Lecce.

La decisione del Comune


Preoccupato il sindaco Carlo Salvemini. Annuncia che il Comune di Lecce sarà parte nel processo: «Seguo con apprensione l’evolversi dell’indagine sui rifiuti sversati nel nostro territorio. Le attività documentate nell’inchiesta descrivono un sistema teso alla commissione di reati ambientali gravissimi, in spregio ad ogni rispetto per il territorio e per chi lo abita. Il Comune di Lecce al momento del processo si costituirà parte civile. Nel frattempo, occorre verificare che oltre agli episodi già emersi non ne sussistano altri, censire i siti oggetto di sversamento e provvedere ad adeguata bonifica. Insieme alla Regione, ad Arpa e agli altri Comuni interessati faremo rete per salvaguardare la salute dei cittadini e il nostro territorio agrario, interessato in questi anni dalla crescita del turismo e della ricettività, tra masserie, ristorazione, percorsi di cicloturismo e sport. Un patrimonio naturalistico di grande pregio e importanza da rispettare, tutelare e ulteriormente mettere a valore».

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