Tre settimane tra la vita e la morte, il racconto choc del medico: «Pensi che morirai senza salutare i tuoi cari»

Tre settimane tra la vita e la morte, il racconto choc del medico: «Pensi che morirai senza salutare i tuoi cari»
Tre settimane tra la vita e la morte, il racconto choc del medico: «Pensi che morirai senza salutare i tuoi cari»
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Lunedì 13 Aprile 2020, 23:15
La sua città, Piacenza, è stata una delle più colpite della pandemia di coronavirus negli ultimi due mesi: Alberto Bassi, dermatologo 62enne, ne è stato colpito ma è guarito. E ha raccontato all'agenzia ANSA la sua devastante esperienza, dopo tre settimane tra la vita e la morte: «Hai la sensazione che con il respiro che rallenta anche la vita lentamente ti abbandoni. Sei solo con i tuoi funesti pensieri, sotto un casco ingombrante, rumoroso e che ti impedisce qualsiasi movimento. Pensi che morirai senza aver potuto salutare i tuoi cari e in qualche modo confortarli», le sue drammatiche parole.

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Dopo tre settimane di ricovero e dimagrito di 15 chili, il medico raccomanda: «Il Covid-19 è un virus subdolo e letale, per questo è assolutamente indispensabile evitare l'infezione e l'unico modo è rimanere barricati a casa». Lui, fino alla fine di febbraio ha visitato i suoi pazienti, «ma - racconta - avevo già adottato ogni accorgimento possibile, mascherina, guanti e una persona alla volta in sala d'aspetto». Peccato che, due settimane prima, Bassi aveva subito un intervento, per distacco di retina, in un ospedale di Correggio. «Lì - dice - circolavano ancora tutti senza protezioni e credo che sia stato così che ho preso il virus».

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L'8 marzo il dermatologo comincia a stare male: «È iniziato tutto con un po' di febbre ed una tosse stizzosa, ma mi sentivo troppo male per avere una semplice l'influenza». «La febbre cresceva e diminuiva alternativamente - racconta - ma io stavo sempre peggio, il decadimento fisico era lento ma progressivo». Da medico, Alberto si controlla l'ossigenazione del sangue che peggiora di ora in ora. «Quando ho capito che facevo fatica a respirare sono andato al pronto soccorso dell'ospedale di Piacenza». «La situazione era quella di un lazzaretto - dice - malati ovunque, un via vai ininterrotto di ambulanze che lasciavano un malato per andarne a recuperare un altro. Medici e infermieri travolti da un'onda gigantesca di malati».

«Vengo messo su una barella larga 50 centimetri - ricorda - in uno studiolo angusto dove rimarrò tre giorni. Vicino a me c'è un altro paziente, grave come me, ma lui muore subito». «La situazione è da girone dell'inferno e intanto la mia febbre sale, resta fissa a 39 e mezzo e non riesco più a respirare». «Mi trasferiscono di corsa al centro Covid di Castelsangiovanni, ad alcuni chilometri da Piacenza. È stata la mia salvezza perché lì, vista la gravità della situazione, con il virus che aveva provocato un'insufficienza multiorgano, sono stato subito attaccato al ventilatore meccanico. Ma i medici mi hanno anche avvertito che se la situazione non migliorava avrebbero dovuto sedarmi e intubarmi».

«Il casco per l'ossigeno - sottolinea - è rumoroso, caldissimo, mi impedisce qualsiasi movimento ma soprattutto non mi consente di portare gli occhiali e io senza non vedo nulla. Mi preoccupa molto l'insufficienza renale che è sopraggiunta e allora riesco a farmi dare una cannuccia e mi costringo a bere il più possibile ad intervalli regolari». Il corpo è immobile ma la mente no: «Hai la netta sensazione che non ce la farai - aggiunge Alberto Bassi - e ti angoscia il pensiero che non riuscirai a salutare la tua famiglia per l'ultima volta».

«Ho trovato un po' di calma e una sorta di accettazione - prosegue - solo quando un collega medico mi ha promesso che, se avessero dovuto sedarmi e intubarmi, prima mi avrebbe fatto fare una telefonata a casa». Appena Alberto mostra segni di miglioramento lo inseriscono nel protocollo sperimentale e iniziano a somministragli il farmaco per l'artrite «ma - conclude - quello che mi ha dato la forza di reagire è stato che in ospedale tutti hanno fatto il tifo per me dicendomi sempre 'vedrai che ce la facciamo'». Tre giorni fa Alberto Bassi è tornato a casa, ma la risalita è faticosa e lunga.
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