Il buon esempio di Mattarella che dà fiducia al Paese

di Mauro CALISE
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Domenica 27 Settembre 2015, 22:44 - Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 17:15
Per come è stato organizzato e per come verrà comunicato, l'incontro del Capo dello stato, stamane a Ponticelli, con duemila studenti provenienti da tutta Italia non rientra nel protocollo ingessato degli appuntamenti di routine. Quelli che a un Presidente spettano per tradizione e convenzione. Ma assume un valore simbolico, di grande rilievo immediato. E con una valenza strategica che diventerà, probabilmente, più chiara nei prossimi mesi.



rasmessa in diretta su Rai uno, e in streaming sul portale del Miur, la cerimonia promette di avere - insieme - la solennità e l'umanità da cui nasce quel feeling speciale tra leadership e cittadini che scandisce la democrazia del nostro tempo. Quella che Manin e Diamanti chiamano la democrazia del pubblico, in cui sempre più importante è la capacità di tenere vivo un dialogo tra istituzioni ed elettori che va al di là delle procedure formali. Ma fa leva sulle percezioni ed emozioni alimentate dai circuiti mediatici, ormai centrali in ogni snodo della nostra vita associata. Nei primi mesi del suo mandato, Mattarella ha fatto un uso parsimonioso della propria immagine. Privilegiando una testimonianza di vita che manteneva, anche sul colle più alto dello Stato, quel profilo di semplicità e riservatezza che erano state la sua cifra da studioso e da parlamentare.



Schivo per temperamento, ha preservato l'approccio per lui più naturale senza farsi condizionare e catturare dalle dinamiche presenzialiste tipiche di - quasi - tutti i leader che calcano le nostre scene. E questo che poteva, all'inizio, apparire un handicap si sta rivelando un elemento di forza, di solidità. Coniugando autorevolezza e immediatezza.

Nell'ottica complessiva del sistema politico, si tratta di un passaggio delicato. Dopo le esperienze profondamente innovative - pur nella loro diversità - di Ciampi e Napolitano sembra essersi definitivamente chiusa la stagione dei presidenti custodi - e prigionieri - della torre d'avorio costituzionale. Al di sopra delle parti ma, per questo, anche inevitabilmente lontani dalle pulsioni del paese.



E si è andata, invece, affermando una concezione del ruolo presidenziale come attivo protagonista di una fase di cambiamenti - rapidi e drammatici - della nostra comunità politica. Un ruolo che tende a accentuarsi nei frangenti in cui diventa più acuta la crisi di altri attori - partiti, parlamento, governo - che concorrono, con il Capo dello Stato, al funzionamento della nostra architettura istituzionale. Questa presenza più incisiva può assumere, però, tratti molto diversi a seconda delle esigenze - e dei vuoti - che, di volta in volta, si aprono. Nel caso di Napolitano, si arrivò ad una vera e propria supplenza di potestà esecutiva quando, per fronteggiare il rischio di un tracollo finanziario, Berlusconi fu sfiduciato e rimpiazzato con un supertecnico bipartisan.



Mattarella non ha - almeno in questa fase - il problema di puntellare un governo che, anzi, si presenta fin troppo nella pienezza dei propri poteri. Ma avverte che c'è una linea di frattura - forse, ancora più pericolosa e profonda - che non riguarda le dinamiche interne ai rami alti della costruzione statale, ma le sue radici nel paese. Ed è questo gap crescente - tra i riti della politica e i sentimenti della gente comune - che cerca di intercettare, di colmare. Con una iniezione di fiducia che punta sullo strumento più semplice ed efficace, il buon esempio. A qualcuno potrà anche apparire un esercizio di facile retorica. Ma puntare sui ragazzi, a Napoli, per un messaggio di ripartenza e di riscatto del paese, è una scelta coraggiosa. Che rompe molti stereotipi. E rilancia una scommessa. Noi tutti, speriamo che ce la caviamo.

Mauro Calise