«Sud, tesoro di risorse che sfuggono di mano»

«Sud, tesoro di risorse che sfuggono di mano»
di Claudia PRESICCE
5 Minuti di Lettura
Lunedì 22 Agosto 2022, 17:42

È una sinuosa ragazzina borgatara romana, dai tratti nordeuropei, che fa girare le carte dell'ultimo romanzo di Giancarlo De Cataldo, "La svedese".

De Cataldo, per la prima volta la intervistiamo da scrittore già magistrato, e non più da magistrato prestato alla letteratura. Cambiano le prospettive dello scrittore?

«È vero. Cambia per chi vuole criticarmi che potrà prendersela direttamente con lo scrittore, e non potrà dirmi più di pensare a fare il magistrato e a scrivere sentenze invece che libri».

Ma ci sono cose che potrà raccontare e che prima non poteva dire?

«Direi di no, perché ho fatto sempre il giudice giudicante con le indagini già bell'è fatte in mano, e le prove già raccolte. Non avevo quindi grandi segreti da custodire, semmai oggi ho una maggiore libertà di manifestare il mio pensiero su qualcuno senza rischiare di ritrovarmelo un giorno sotto processo. Oggi non corro più questo rischio e sono libero di dire quello che penso».

E non è una cosa da poco.

«Tuttavia è una nostra distorsione pensare che l'opinione influenzi la funzione. Tutti hanno opinioni, ma non è detto che entrino nel lavoro e lo influenzino».

Veniamo alla Svedese. Da dove arriva questa protagonista del romanzo, Sharon? È arrivata a squarciare il suo panorama letterario declinato al maschile, per scelte tematiche, tranne rari sfavillanti esempi.

«Arriva da tre input diversi. Stavo lavorando sulla quarta avventura del mio contino Manrico Spinori, Pubblico ministero, e mi sono imbattuto in una notizia di inchieste su nuove droghe sintetiche che stanno girando tantissimo, come la droga dello stupro e altre. Ho provato a tessere una storia attorno al mio Pm Manrico, ma ho capito che era necessario uno scenario diverso, visto da dentro, più in presa diretta. Mi sono imbattuto poi, ed è il secondo incontro fortuito, in una ragazza in una villa al Nord con tratti particolari, bionda, alta, androgina, inquietante, probabilmente non italiana, che mi ha folgorato: ho capito che poteva essere la protagonista di una mia storia. Noi scrittori facciamo così, tassello dopo tassello costruiamo narrazioni. Ho pensato al mondo di borgata che volevo raccontare, e lei è diventata Sharon detta Sharo, ed è nato anche il principe che lei incontra, aristocratico misterioso che se ne innamora. Terzo input, la scelta di ambientare la storia durante la pandemia, racconto dal quale mi sono tenuto ben alla larga all'inizio, come altri scrittori hanno fatto. Passato però il tempo delle rigorose cautele che abbiamo rispettato, dei vaccini e della lontananza dai parenti fragili eccetera, ho deciso di fare i conti con quel mondo altro di insoddisfazione e rabbia, che non era il nostro, in cui albergava un sentimento nutrito di antagonismi. Ed è il mondo di Sharo».

Va detto che la svedese rispetta precisi canoni di femminilità, tanto da sembrare dipinta da una donna. Ha avuto delle consulenze femminili immagino.

«Essendo sposato da molti anni e innamorato, attraverso mia moglie ho imparato a conoscere le donne, lei rappresenta tutto quello che so dell'universo femminile. E onestamente devo dire anche che mi dà una grossa mano, perché è la mia prima implacabile lettrice, ci tiene che io scriva sempre un bel libro e non un libro qualunque. Ogni scrittore ha qualche riferimento a cui affidarsi e il cui giudizio è fondamentale, e io ho lei».

Era intuibile, ma è bello sentirglielo dire.

«Mi sembra giusto».

Parlava prima delle nuove droghe sintetiche che racconta nel romanzo, liquidi che viaggiano in pseudo bottiglie di vino. Tra le stesse pagine mostra anche la nuova situazione criminale a Roma, frammentata, in cui non esiste più l'unica banda che vuole conquistare la città.

«Le nuove droghe sono una vera piaga diffusa.

Dopo la pandemia è esplosa un'ansia di stare insieme, unita all'idea di ballare sull'orlo del vulcano come senza aver niente da perdere, cercando lo sballo, in uno sfrenato edonismo. Questo a tanti livelli sia tra ricchi viziosi che nelle borgate. Per quel che riguarda Roma il tentativo di imporre un unico potere criminale fu quello della banda della Magliana, e durò poco perché per sua natura Roma è fatta di tante città, quartieri e anche piazze di spaccio diverse. Oggi c'è una specie di accordo non scritto tra organizzazioni criminali che si spartiscono il territorio, e a volte poi compare qualche soggetto che cerca di emergere. Se questo trova un accordo con le famiglie meridionali più forti, siciliane, calabresi, campane, o con le mafie etniche albanesi, gli va bene, altrimenti se invade qualche territorio si aprono scenari di piccole guerre, che riguardano per ora solo una strada, una piazza. Sotto però si muovono interesse enormi, e tanti appetiti si stanno organizzando oggi intorno ai fondi in arrivo del Pnrr. I malavitosi sono parassiti che si muovono dove ci sono soldi».

Difficile combattere un fenomeno così frammentato.

«E no, si combatte, non bisogna scoraggiarsi, più gruppi criminali più indagini. È la lotta eterna del bene contro il male. Quando sembrano prevalere le forze oscure si reagisce, come accadde nella stagione delle stragi nel 92 e 93, la risposta dello Stato fu fortissima e la mafia venne fortemente ridimensionata. Farsi prendere dalla disperazione è un regalo al nemico».

C'è poi di mezzo anche la politica...

«Nel romanzo non ne parlo, parlo semmai di due livelli della malavita: quello alto che ha però bisogno della manovalanza criminale. C'è una legge eterna: il criminale nasce sempre dalla strada esercitando violenza nel suo piccolo mondo e poi, una volta diventato importante, aspira a ripulirsi. Gli alti livelli delle associazioni criminali sono fatti di intoccabili che non si sporcano più le mani. Ma le tracce del passato restano addosso e non sfuggono ad un'attenta indagine».

Veniamo alla sua Puglia, la provoco: ci tornerebbe o neanche il lavoro di scrittore consente di vivere a Sud?

«Ho scelto di andare a vivere a Roma tanto tempo fa, liberamente, e quando torno bastano i profumi e i fichi d'India a farmi ricordare le radici. Riguardo ai problemi del Sud, penso come scrissi nel mio libro Terroni che sia un grande serbatoio di risorse che ci sfuggono di mano. Tuttavia come meridionale mi astengo da dare giudizi o inventare soluzioni, perché è giusto che lo faccia chi ci vive, chi è rimasto qui a combattere e sa come funziona, non uno che è andato via mezzo secolo fa. Mi volevano pure affidare incarichi, ma mi sento ormai un osservatore esterno, posso dare una mano, ma la Puglia è un affare dei pugliesi...».

Un affare complicato.

«Sì, anche se per me la Puglia fa la differenza, ma è un'altra storia che risale ai retaggi positivi del tempo di Federico II».
 

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