Tapparini arriva nelle sale del Castello di Nardò per animare l’estate salentina. Espressione di una nuova estetica in grado di tradurre con soavità e gentilezza le contraddizioni, le dissonanze e le lacerazioni che nella nostra epoca caratterizzano una società con canoni e riferimenti plurimi, la mostra, curata dalla giornalista Claudia Presicce, porta in scena alcuni dei lavori recenti dell’artista, mostrandone verve creativa e piglio disquisitorio. Questa nuova esposizione di
Tapparini, che segue le numerose tenute negli ultimi anni, in Italia e all’estero, molte delle quali a Roma, si intitola “R-Evoluciòn”, un nome in cui chiaramente si fondono due parole dal significato affine o, per meglio dire consequenziale, rivoluzione ed evoluzione, dal momento che la prima si attua nella speranza delle seconda mentre la seconda implica un cambiamento radicale che solo la prima può imprimere ad un’epoca o ad una società. Nelle sale del Castello Acquaviva “Eclettico” saranno in mostra le coloratissime tele dell’artista leccese. Immagine-simbolo, vera e propria firma iconica, è la Vespa, rappresentata nell’atto di sfrecciare per le stradine di campagna, simbolo di una modernità tutta italiana ma anche di spensieratezza, di una “dolce vita”. Come ampiamente ribadito in sede critica, le gioiose opere di Tapparini sono dotate di un inconfondibile approccio Pop alla realtà, non solo per i temi trattati, ma anche per i colori vivi e le linee morbide e sinuose; una figurazione trasognata che talvolta sfocia nel surreale e nell’onirico, senza però mai trascendere nel conturbante o nell’arzigogolato e senza mai rinunciare a riferimenti oggetti, tutti rintracciabili nella realtà e immediatamente riconoscibili. La “Revoluciòn” evocata è un invito a riposizionare il baricentro della società sui tratti più umani dell’esistenza, anche più semplici, colorati e collettivi. “Coloriamo le strade di rosa” sembra dire Tapparini, evocando chiaramente un’ideale sterzata sociale verso i territori di pace, gli unici su cui possa germogliare un futuro. È un’eresia rivoluzionaria la sua, che non aggredisce e al contrario punta a costruire, a disegnare pazienza, amore, meraviglia surreale. Una rivoluzione gentile quanto necessaria in tempi bellicosi, connotati da continui atti di forza.
Il messaggio nascosto tra i coori sgargianti
Tapparini punta sull’assemblaggio ricercato ed estetizzante degli oggetti quotidiani, alcuni ripetuti sulla tela con assiduità, quasi ossessività, come fossero moduli da reiterare in situazioni differenti per ribadire i concetti di cui sono forieri. Le sue composizioni rappresentano simulacri della “nuova spiritualità” materialista, connaturata al nostro sistema capitalistico, che generano un totem della comunicazione e che mettono a confronto due universi: il prodotto e l’arte. Selezionando con cura alcuni degli oggetti impressi nella mente delle persone, grazie ad una pubblicità di massa sempre più invasiva e incalzante, l’artista leccese, con mentalità autenticamente pop, torna a mettere in discussione l’unicità e l’irripetibilità del dipinto, convertendolo in un prodotto replicabile più volte.
Tapparini sorprende per la rocambolesca volontà di ritualizzare gli oggetti, prodotti dalla realtà industriale.
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