Quel “sogno infinito” nell’occhio di Settanni

Quel “sogno infinito” nell’occhio di Settanni
di Anita PRETI
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Martedì 3 Ottobre 2023, 05:00

Le fotografie che scattava Pino Settanni sono di quelle che portano, guardandole, un’emozione al cuore. È ritornato a casa, Pino, per una mostra al MuDi di Taranto benché non sia il luogo delle origini (era nato a Grottaglie nel 1949) ma da questa città è partito per una grande avventura di vita che lo ha portato nel mondo e nella vita di coloro che il mondo abitano: ricchi e poveri, famosi e sconosciuti, felici e dolenti. Tante condizioni che il fotografo aveva sommato in sé, nel corso di giorni che avrebbero dovuto essere tanti e più lunghi se, minati da una malattia, non si fossero incamminati verso una prematura scomparsa nel 2010 lasciando agli altri, gli affetti familiari in primo luogo, nuovi giorni e questi dolenti perché minati dal ricordo.

Il circolo fotografico Il Castello, benemerita realtà jonica, che ogni anno organizzando FotoArte promuove la cultura delle immagini, nell’ambito di questa nuova edizione che prosegue con molte altre iniziative sino al termine di ottobre, rende omaggio adesso a Pino Settanni con questa iniziativa custodita dal Museo Diocesano, il Mudi, luogo suggestivo della città. L’esposizione raccoglie una selezione dei soggetti, (genti, terre, situazioni) al centro del lavoro del fotografo che l’associazione tarantina associa, nel ventennale calendario delle presenze e solo ricordando in ordine sparso, a Letizia Battaglia, Gianni Berengo Gardin, Franco Fontana, Uliano Lucas, Ferdinando Scianna, i maestri insomma. E Pino Settanni è un maestro tra i maestri. Riconoscibilissimo il suo “occhio” anche da chi non sia addetto, per lavoro, per passione, per dovere o per scelta, al mondo della fotografia, da chi non sia in grado di decifrarne i segni: Pino e il fondo nero nella ritrattistica dei celebri del mondo dello spettacolo, Pino e i colori “caravaggeschi” delle sue immagini, Pino e la capacità di rendere materiale l’immateriale come le carte dei Tarocchi. Ecco, alle pareti del MuDi, ci sono alcuni tarocchi e alcuni di quei celebri, Federico Fellini in testa; poi coloro che non saranno mai celebri e abitano i fronti di guerra; poi i tanti Sud del mondo categoria alla quale Taranto appartiene.

Al Nord inseguendo "il sogno infinito"

Da questa stretta provincia, tale era mentre montava il sogno del benessere con l’avvento dell’industrializzazione, un miraggio al posto delle vere oasi di quel deserto (la campagna, il mare, il turismo), Pino Settanni si allontana nel 1973 destinazione Nord. È l’inizio de “Il sogno infinito” libro da leggere obbligatoriamente perché gesto d’amore di Monique Gregory Settanni, la moglie di Pino, affidato alla penna di una bravissima giornalista della Rai, Lorella Di Biase che ha conosciuto l’artista tarantino e per lavoro lo ha intervistato. Particolare non trascurabile, a lungo Settanni e Di Biase sono stati dirimpettai e questo conta nella costruzione degli affetti, secondo il codice meridionale dei rapporti umani. Ecco, in Pino Settanni il Sud tracimava, era un ciclone di tenerezza avvolgente ed il libro, edito da MarsilioArte e da Archivio Luce, restituisce le evoluzioni di questo movimento meteo: la famiglia, la fratellanza privata che è il trampolino di lancio per il coraggio di essere soli (il primo viaggio ha per destinazione Torino dove già abita la sorella Maria): poi le amicizie tarantine che occorre lasciarsi alle spalle, la famiglia Torraco in primo luogo, ma senza recidere i lacci d’affetto. E dietro resta anche, in piazza Ebalia, la cantina-studio-laboratorio per tanti giovani (Le Tabou, Les Deux Magots, Sartre, De Beauvoir, Vian, gli esistenzialisti continuavano ancora a fare scuola, ovviamente edulcorati, sull’“atteggio”, licenza dialettale, dei provinciali).

L'incontro con Fellini. Poi con Guttuso

Pino Settanni non aveva fantasie per la testa, aveva sogni. Era un dipendente del “miraggio”, l’Italsider, ma voleva fare altro. Dispiace se fotografo? Magari quel collega, a torso nudo, con la sua neonata in braccio. Un’immagine “forte”, per l’epoca. Nel libro di Monique e Lorella c’è tutto, momento per momento, gesto per gesto, parola per parola. Non si potrebbe aggiungere altro. La prima mostra a Lido Gandoli, la spiaggia più alla moda; le prime foto degli scioperi in fabbrica quando la classe operaia era potentissima e gridava, a voce forte, pubblicate dai giornali nazionali; il viaggio; Torino; l’approdo: Roma. Sia vero o no è Fellini il primo ad accorgersi dell’altro, Pino ha una faccia da cinema ma il tarantino non cede alle lusinghe del riminese; al contrario il secondo obbedisce a Pino e gioca con le matite colorate per uno scatto tra i più celebri. 

Le conoscenze diventano sempre più importanti, ma non è che gli mancassero. A Torino aveva già collaborato con Gio Ponti. Ora si profila Renato Guttuso. In breve e per un certo numero di anni Pino ne diventa l’inseparabile l’alter ego. Uno disegna e dipinge, l’altro fotografa. A volte i temi sono identici, il risultato diverso. Poi gli amori finiscono. Ma non quello per Monique Gregory, francese, esperta d’arte, gallerista, incontrata nella più bella Roma degli anni Sessanta e dei primi Settanta.

Monique ha aperto la sua galleria in via del Babuino, Pino ha abitato appena dietro l’angolo in via Margutta. “Amore, vedessi com’è bello il cielo a via Margutta…” avrebbe cantato più tardi Luca Barbarossa.

Tutto è bello, non solo la via. È un sogno e Pino ci sta dentro fino al collo; fino a quello sguardo liquido e profondo che una foto, tra quelle esposte al MuDi, restituisce nella sua bellezza; fino a quei capelli neri e folti e lunghi da farne, giocando con un trucco, una specie di androgino, una medusa del Caravaggio, una specie di joker ma buono, dolce, affettuoso, non esistente ma che invece è esistito con la breve vita di questo uomo. 

Complimenti al circolo fotografico “Il Castello” e al suo presidente Raimondo Musolino per aver restituito Pino alla città a tanti anni di distanza dalla bella mostra “Lo specchio dell’anima”, organizzata per l’iniziativa comunale “Nati a Taranto” e accolta dal mastio aragonese. In quella occasione Pino si condusse lì insieme a Mario Monicelli che certamente aveva fatto tante cose nella sua vita ma in quel momento era l’uomo dalla sciarpa rossa, come Mastroianni, Verdone, Ronconi e tanti altri ritratti da Pino Settanni con quell’indumento o comunque con qualcosa di rosso accanto. Perché c’è il nero e il rosso, e in mezzo c’è la vita. 

Una mostra più ampia delle immagini del fotografo tarantino è contemporaneamente in corso a Venezia, nelle Stanze della Fotografia, sull’isola di San Giorgio sede della Fondazione Cini. Organizzata da MarsilioArte e dall’Istituto Luce, che custodisce oggi lo smisurato archivio di Settanni (60mila elementi in corso di catalogazione), la mostra resterà aperta fino al 26 novembre. Mentre la mostra organizzata da FotoArte al MuDi resta aperta ancora per una settimana, fino a domenica prossima. Un buon motivo per incamminarsi subito fra i vicoli dell’innamorevole città vecchia di Taranto, il luogo da cui Pino Settanni partì per costruire il sogno infinito.
 

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