Melucci choc: «A seconda di come si chiude oggi, il sindaco si prende le sue 24/48 ore di tempo e poi forse torna al suo lavoro dove guadagnava il doppio, faceva una vita...
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La seduta è stata sciolta su richiesta del consigliere Vincenzo Fornaro (Taranto Respira) e il «rischio» che ha voluto assumersi il sindaco si è tradotto politicamente in una debacle.
Tra oggi e domani il prefetto invierà la diffida al Comune, che poi avrà venti giorni di tempo dalla notifica per approvare l’esercizio finanziario: se così non dovesse essere, il Consiglio comunale sarebbe sciolto anzitempo. Stessi tempi per le eventuali dimissioni del sindaco: avrebbe venti giorni di tempo per ritirarle.
A determinare la spaccatura della maggioranza è stata l’assenza in aula soprattutto dell’ala “renziana” del Pd, formata da sei consiglieri su undici (Azzaro, Fuggetti, Pulpo, Simili, Di Todaro e Di Gregorio), oltre a quelle “giustificate” dei consiglieri Brisci, De Gennaro e Mele. I sei “renziani” anziché presenziare in Consiglio hanno preferito partecipare all’incontro col ministro Pinotti assieme al deputato Vico, all’ex assessore provinciale Mancarelli e al presidente dello Ionian Shipping Consortium Walter Musillo. La “rottura” si è verificata mercoledì, quando il capogruppo Gianni Azzaro ha ricevuto in aula il disco rosso del sindaco e della maggioranza, a seguito di un parere tecnico negativo del dirigente Spano, su un emendamento da lui presentato per elargire nel triennio 380mila euro all’associazione Arciragazzi per “interventi ludico educativi a favore del bambino malato”. Una spesa che Azzaro e i suoi avrebbero voluto volentieri sottrarre al capitolo da cui attingere l’indennità per il nuovo direttore generale dell’ente. «Non pensiamo - ha aggiunto Melucci - che ragionare su ipotetiche stampelle, o altri conteggi o rinvii sia la modalità per interloquire con questa amministrazione e con questo sindaco», chiudendo di fatto le porte a mediazioni con i “renziani”. Melucci, infatti, ha tirato dritto per la sua strada ignaro, però, di dove portasse: politicamente ad un burrone. Iniziato con un’ora e mezza di ritardo, ieri il Consiglio comunale ha prolungato la discussione sul primo emendamento relativo alla materia contabile per dare l’opportunità a qualche consigliere assente di arrivare in aula. Strategia risultata fallimentare, così come la scelta del sindaco di ostinarsi a non rinviare il Consiglio comunale e quindi di non prendere per buono il suggerimento del presidente Lucio Lonoce, che è il consigliere del Pd più vicino in questo momento ai “renziani”, pur mantenendo il suo ruolo «super partes». Il sindaco, forse per inesperienza, ha sbagliato a fare i calcoli, si è fidato forse di una parte della minoranza che lo ha mollato strategicamente per arrivare alla prossima seduta di Consiglio, senza risultare come “stampella” della maggioranza, e lo ha lasciato col “cerino” in mano.
Servivano diciassette presenze, ne mancavano però due: quattordici le garantiva la maggioranza (compresi Bitetti, Cataldino e Lupo) e una Mario Cito (At6). Nevoli, Battista, Fornaro, Vietri, Ciraci, Baldassari, Nilo e Cannone hanno abbandonato anzitempo l’aula per non garantire il numero legale. «Serviva un’amministrazione di salute pubblica, serviva senso di responsabilità», ha detto Melucci, facendo riferimento a un’espressione della Prima Repubblica con la quale si intende un governo rappresentato da tutte le forze politiche. Solo che a disegnare la giunta è stato il sindaco senza confrontarsi con le forze politiche i maggioranza, che alla prima occasione - come in un copione già scritto - gli hanno presentato il “conto”. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia