Melucci pensa di dimettersi: «Due giorni e poi deciderò»

Melucci pensa di dimettersi: «Due giorni e poi deciderò»
di Michele MONTEMURRO
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Venerdì 1 Settembre 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 21:00
Melucci choc: «A seconda di come si chiude oggi, il sindaco si prende le sue 24/48 ore di tempo e poi forse torna al suo lavoro dove guadagnava il doppio, faceva una vita più serena e si godeva un poco i bambini». A paventare le dimissioni dopo soli due mesi dal suo insediamento, non prima di aver richiamato l’attenzione dei soli due cronisti presenti in aula (gli altri probabilmente hanno assistito alla diretta streaming, considerato che il giorno prima è stato comunicato che sindaco e assessori non rilasciano interviste), è stato ieri mattina in Consiglio comunale il primo cittadino, che si è appellato inutilmente alla minoranza per far garantire quel numero legale che è mancato per l’approvazione dell’assestamento generale di bilancio e della salvaguardia degli equilibri di bilancio per l’esercizio 2017. 
La seduta è stata sciolta su richiesta del consigliere Vincenzo Fornaro (Taranto Respira) e il «rischio» che ha voluto assumersi il sindaco si è tradotto politicamente in una debacle. 
Tra oggi e domani il prefetto invierà la diffida al Comune, che poi avrà venti giorni di tempo dalla notifica per approvare l’esercizio finanziario: se così non dovesse essere, il Consiglio comunale sarebbe sciolto anzitempo. Stessi tempi per le eventuali dimissioni del sindaco: avrebbe venti giorni di tempo per ritirarle.
A determinare la spaccatura della maggioranza è stata l’assenza in aula soprattutto dell’ala “renziana” del Pd, formata da sei consiglieri su undici (Azzaro, Fuggetti, Pulpo, Simili, Di Todaro e Di Gregorio), oltre a quelle “giustificate” dei consiglieri Brisci, De Gennaro e Mele. I sei “renziani” anziché presenziare in Consiglio hanno preferito partecipare all’incontro col ministro Pinotti assieme al deputato Vico, all’ex assessore provinciale Mancarelli e al presidente dello Ionian Shipping Consortium Walter Musillo. La “rottura” si è verificata mercoledì, quando il capogruppo Gianni Azzaro ha ricevuto in aula il disco rosso del sindaco e della maggioranza, a seguito di un parere tecnico negativo del dirigente Spano, su un emendamento da lui presentato per elargire nel triennio 380mila euro all’associazione Arciragazzi per “interventi ludico educativi a favore del bambino malato”. Una spesa che Azzaro e i suoi avrebbero voluto volentieri sottrarre al capitolo da cui attingere l’indennità per il nuovo direttore generale dell’ente. «Non pensiamo - ha aggiunto Melucci - che ragionare su ipotetiche stampelle, o altri conteggi o rinvii sia la modalità per interloquire con questa amministrazione e con questo sindaco», chiudendo di fatto le porte a mediazioni con i “renziani”. Melucci, infatti, ha tirato dritto per la sua strada ignaro, però, di dove portasse: politicamente ad un burrone. Iniziato con un’ora e mezza di ritardo, ieri il Consiglio comunale ha prolungato la discussione sul primo emendamento relativo alla materia contabile per dare l’opportunità a qualche consigliere assente di arrivare in aula. Strategia risultata fallimentare, così come la scelta del sindaco di ostinarsi a non rinviare il Consiglio comunale e quindi di non prendere per buono il suggerimento del presidente Lucio Lonoce, che è il consigliere del Pd più vicino in questo momento ai “renziani”, pur mantenendo il suo ruolo «super partes». Il sindaco, forse per inesperienza, ha sbagliato a fare i calcoli, si è fidato forse di una parte della minoranza che lo ha mollato strategicamente per arrivare alla prossima seduta di Consiglio, senza risultare come “stampella” della maggioranza, e lo ha lasciato col “cerino” in mano.
 
Servivano diciassette presenze, ne mancavano però due: quattordici le garantiva la maggioranza (compresi Bitetti, Cataldino e Lupo) e una Mario Cito (At6). Nevoli, Battista, Fornaro, Vietri, Ciraci, Baldassari, Nilo e Cannone hanno abbandonato anzitempo l’aula per non garantire il numero legale. «Serviva un’amministrazione di salute pubblica, serviva senso di responsabilità», ha detto Melucci, facendo riferimento a un’espressione della Prima Repubblica con la quale si intende un governo rappresentato da tutte le forze politiche. Solo che a disegnare la giunta è stato il sindaco senza confrontarsi con le forze politiche i maggioranza, che alla prima occasione - come in un copione già scritto - gli hanno presentato il “conto”. 
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