Uccise Fiorenza, l'ergastolo "scontato" a 24 anni

Uccise Fiorenza, l'ergastolo "scontato" a 24 anni
Niente più ergastolo all’omicida che agì nell’abitazione di Grottaglie e che con un colpo di pistola uccise Fiorenza De Luca. ...

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Niente più ergastolo all’omicida che agì nell’abitazione di Grottaglie e che con un colpo di pistola uccise Fiorenza De Luca.

La Corte d’assise d’appello ha parzialmente accolto il ricorso promosso in favore di Beniamino Ligorio dall’avvocato Stanislao Massari, facendo cadere un’aggravante e assolvendo l’imputato dall’interruzione di gravidanza. Quando fu uccisa, infatti, la povera Fiorenza era in attesa di un bambino.
Ventiquattro anni di reclusione: questo il verdetto del secondo grado a carico dell’imputato.
La Corte ha sostanzialmente confermato le indicazioni venute dall’accusa pubblica e privata. Gli avvocati Antonella Demarco e Gaetano Di Marco, che rappresentavano i familiari della vittima, aveva ancora una volta pigiato sull’acceleratore, lungo la tesi della particolare crudeltà dell’evento avvenuto nel giugno del 2014.
Vittima dell’aggressione armata fu una tarantina di 28 anni. Teatro della tragedia fu la casetta del centro di Grottaglie in cui viveva la coppia (nella foto gli investigatori all’esterno della casa).
 
La donna venne colpita alla testa da un colpo di pistola che non le diede scampo. Un delitto che il giovane provò a spiegare come un gioco finito male. Dopo il suo fermo operato dalla polizia raccontò che la morte di Fiorenza sarebbe stato il frutto di una disgrazia. Nel corso dell’interrogatorio continuò a ribadire la sua verità: «Non la volevo uccidere, stavamo giocando, il colpo è partito per sbaglio». Una versione dei fatti alla quale, però, i poliziotti del commissariato di Grottaglie non avevano dato credito alcuno.
Nel dispositivo della sentenza, peraltro, fu “censurata” la condotta di due testimoni della difesa. La Corte d’assise di Taranto dispose la trasmissione degli atti all’ufficio della procura, in relazione alla testimonianza di due persone. Per il resto, la camera di consiglio che impegnò giudici togati e popolari fu caratterizzata, molto plausibilmente, più sull’entità della pena che sulla esatta configurazione del reato e sulla sussistenza delle aggravanti.
Anche in secondo grado, la difesa di Ligorio aveva proposto una serie di argomentazioni che puntava ad attutire non solo la responsabilità dell’imputato ma, soprattutto, la volontarietà nell’azione sfociata nella morte della povera Fiorenza.
Quanto al fatto specifico, secondo gli investigatori l’uomo avrebbe avuto un movente, quello della gelosia, per commettere l’omicidio, considerato che contestava alla donna una scarsa dedizione. In ogni caso, fu proprio Ligorio, quel giorno, a lanciare l’allarme chiamando i soccorsi. «Venite, ho ucciso mia moglie», disse al telefono ai medici del 118. Ma per Fiorenza non ci fu nulla da fare. La successiva autopsia chiarì anche che la donna aspettava un bambino. Per l’accusa, l’imputato era consapevole che la donna aspettasse un figlio. Lo dimostrerebbero le analisi ginecologiche trovate in casa e sequestrate dagli investigatori.
La circostanza, in ogni caso, non è stata ritenuta dalla Corte di secondo grado di alcun pregio.

Secondo quanto accertato nel corso delle indagini nella coppia c’erano stati dei dissapori. L’uomo deteneva illegalmente una pistola a salve, modificata per funzionare come un’arma a tutti gli effetti. E a quanto emerso “sapeva maneggiarla”. In principio fu una scritta a balzare all’attenzione degli investigatori. C’era il nome di una donna, sostituito con quello della vittima. E una dedica proprio a Ligorio. La frase impressa sul muro, con una bomboletta spray, era nei pressi dell’abitazione dei due. Tanto da far ipotizzare che il diverbio di coppia fosse scoppiato per gelosia. Forse gelosia di Fiorenza che aveva pagato a caro prezzo con le sue proteste. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia