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Una premessa è indispensabile, a scanso di equivoci: si fa ancora in tempo a rovinare tutto, c’è un’infinita letteratura di miracoli rasi al suolo nel giro di tre sconfitte consecutive. Meglio essere netti, ad abundantiam, dato per scontato che comunque nessuno pensa di essere già arrivato al traguardo. Tuttavia, il successo di Bergamo è a suo modo un manifesto definitivo, il cerchio che si chiude, la verità che balza agli occhi: questo è il Lecce più forte di sempre. Ed è la consacrazione di Baroni, che finora la serie A l’aveva vista poco e male.
Adesso invece la domina, nel senso che va a giocare in casa della formazione più in forma del campionato (citofonare Lazio) dopo il Napoli, al cospetto di un maestro come Gasperini, e la mette sotto, dal primo minuto, per atteggiamento, organizzazione, gioco. Una bellezza vera, moderna, concreta. Sesso puro, calcisticamente, diverso per esempio dal burlesque zemaniano che prometteva tanto per mantenere poco. Un perdente di enorme successo, Zeman, che aveva un Lecce di strepitoso talento, purtroppo deturpato da rovinose cadute. Quella squadra andava spesso in vantaggio per poi farsi puntualmente infilare in contropiede.
Bello? Per niente.
Oggi il Lecce è una miniera d’oro e pazienza per chi non ci ha creduto fino in fondo, preferendo abbandonare in un momento di difficoltà. Va invece dato atto a Sticchi Damiani e ai suoi soci-tifosi di aver avuto la forza di portare avanti un programma di altissimo profilo, affidandolo all’unico che potesse realizzarlo, Corvino. Un progetto totale che parte dal settore giovanile, tornato ad essere un investimento e non solo un costo, da sopportare con qualche fastidio. Oggi il Lecce Primavera è primo in classifica, come accadeva vent’anni fa, quando i giallorossi vincevano scudetti e coppe. Una questione di competenza, evidentemente, e di lungimiranza, ma anche un percorso obbligato per una società che voglia costruire qualcosa che resti, che duri a lungo, non avendo sceicchi alle spalle. Da quando il Lecce ha fatto la sua prima apparizione in serie A, si è sempre cercato di individuare un modello da imitare, il Parma piuttosto che l’Udinese, il Sassuolo invece del Chievo o dell’Empoli. C’era sempre qualcuno più bravo da copiare, parlando un po’ a vanvera, senza tener conto di specificità spesso non replicabili. Il fatto nuovo è che oggi i ruoli si sono ribaltati e, sorpresa, il modello per gli altri è diventato il Lecce, un esempio di managerialità, equilibrio gestionale, qualità, crescita tecnica. E con il Lecce sta crescendo e maturando anche tutto l’ambiente: in altri tempi, a quest’ora, si sarebbe cominciato a temere il peggio, la cessione dei big, una volta Vucinic e Bojinov, oggi magari Hjulmand e Baschirotto, per dire. Invece per niente: che una società possa cedere giocatori, dopo averne centuplicato il valore, è inevitabile. Farne arrivare altri con le stesse potenzialità è la vera impresa. A Lecce però sanno come si fa.
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