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Gli inviti e le pietanze
Impariamo che ogni tavolata deve avere come protagonisti un determinato numero di Santi, che vanno da un minimo di tre (San Giuseppe, la Madonna e Gesù Bambino) a un massimo di tredici. E bisogna preparare tredici pietanze per ciascuno dei Santi presenti, per cui nelle Tavole più grandi si arriva ad avere fino a 169 piatti. Non possono mancare il pane fatto in casa (ogni famiglia appone su ogni pagnotta una lettera o un segno di riconoscimento); le pittule (in parte col cavolfiore), il pesce, i lampascioni che annunciano l'arrivo della primavera, la massa (pasta fatta in casa con ceci e cavolfiore che a Cocumola prende il nome di "vermiceddrhi") e in alcune case si trovano anche i "purciaddruzzi" o struffoli.
La messa in scena della cena parte solo dopo la benedizione del parroco, che passa casa per casa. Ad ogni Tavola c'è qualcuno che interpreta San Giuseppe e che viene identificato attraverso un bastone con i fiorni bianchi e poi i commensali: è lui che "dirige" il banchetto e che scandisce il ritmo del pranzo "ordinando" - con tre colpi di forchetta - di passare da un piatto al successivo. Per gli inviti si procede esclusivamente a coppie, poiché la tradizione stabilisce che il numero dei Santi debba essere dispari. Al centro di ogni tavolata spicca un'icona della Santa Famiglia oppure di San Giuseppe.