Per carità, magari molte delle cose che qui verranno valutate e scritte sono già state analizzate e bocciate. A volte, tuttavia, e considerato l’ambito,...
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Il fatto – si diceva – è che a pochi giorni dall’avvio del nuovo anno scolastico l’impressione è di essere al punto di partenza. Impensabile sdoppiare le classi, per l’impossibilità di raddoppiare spazi e personale (ma davvero qualcuno pensava di poter reperire al volo migliaia di nuove sedi? con quali fondi? e con quali livelli di sicurezza e responsabilità, considerati i profili di irregolarità per buona parte dei plessi già in funzione? Per non parlare dell’immissione in ruolo di vagonate di nuovi docenti: quando, quali, con quale preparazione, destinati a chi e per quanto tempo?).
La stessa idea di ricalibrare le distanze con l’acquisto di banchi monoposto rasenta il ridicolo, senza voler indugiare su cattivi pensieri: la gran parte delle aule, almeno da queste parti, ha già banchi monoposto, piantati su quattro gambe, di certo più adatti a controllare le distanze se il parametro rimane quello del metro dalle “rime buccali”, espressione ammantata di notevole lirismo giacché “da bocca a bocca” deve essere sembrata allarmante per il sinistro rimando a pratiche salvavita. Dei banchi monoposto con superfetazione di rotelle quasi inutile parlare: chiunque abbia un minimo di esperienza, o vaghi ricordi delle proprie scorribande, non faticherà a immaginare i circuiti da Formula Uno improvvisati a ogni cambio d’ora (più gran premio all’intervallo), con ricadute dirette sui paventati assembramenti, per non dire della difficoltà a trovarvi alloggio e conforto quando, salutata l’infanzia, l’adolescenza regala sorprese volumetriche all’espansione corporea e alle effervescenze ormonali.
Sulle altre misure si potrebbe a lungo disquisire: il medico in ogni plesso è poesia; il controllo con termoscanner agli ingressi, invece, è fantasia. Tutti in fila con il sole o con la pioggia a misurar la temperatura: con mille studenti e unico accesso, coda chilometrica; per più ingressi, altrettanti puntatori e personale. Vabbè. Per non dire del valzer di opinioni sullo screening con termometro: a casa, a scuola, strada facendo... Tutti multiformi tentativi di arginare a valle ciò che andrebbe controllato a monte, prima che una massa di ragazzi si metta in moto ogni mattina dopo colazione. Non fosse altro che per un motivo molto semplice e facilmente rilevabile: la rete dei trasporti pubblici è un disastro. Non è stata mai un gingillo; l’emergenza acuisce i giudizi impietosi.
Come muoversi? Pare che per quindici minuti si possa stare accalcati in bus come se nulla fosse; allo scoccare del sedicesimo il pericolo contagio irrompe sulla scena e amen. Ridisegnare i tragitti in virtù delle distanze percorse dai ragazzi avrebbe chiesto programmazione, e questo è il Paese dell’improvvisazione. Niente. Piuttosto che ipotizzare acquisti di suppellettili inutili o adeguamenti di strutture malmesse, si sarebbe potuto censire il parco mezzi a disposizione del territorio tra navette bottinatrici a servizio dei locali notturni e torpedoni di aziende private, considerato lo scarso utilizzo in tempi di magra una volta finita l’estate e la sosta forzata per lo stop a gite e viaggi organizzati. Incentivi mirati avrebbero prodotto i risultati sperati. E i contributi per monopattini e bici (magari estesi anche ai centri minori) sarebbero stati la sponda migliore.
Ultimo ma non ultimo, il quesito principale: che fine ha fatto la didattica a distanza? dov’è terminata quella mole enorme di competenze insufflate a forza più nel corpo docente che nella schiera dei ragazzi, meglio avvezza a smanettare con pc, tablet e smartphone? Perché non implementare, completare e perfezionare – colmando lacune soggettive e oggettive, familiari e personali - una digitalizzazione imposta dall’oggi al domani da un’emergenza che a fine inverno ci ha costretti tutti a casa? Perché eliminare tout court questo capitolo strategico, ora di fatto completamente ignorato e accantonato? Quel percorso - al di fuori della contingenza - avrebbe potuto agire su più fronti e in simultanea: decongestionando le classi (un gruppo di studenti, a rotazione, a casa) e, con esse, i trasporti; abbattendo il rischio di contatti e contagi; accelerando il processo di innovazione del Paese, con benefici a breve, media e lunga scadenza. Non ultimo, avrebbe messo al riparo da accidenti collaterali, ma non per questo minori: influenza? stai a casa e segui le lezioni a distanza; bomba d’acqua, neve, frane e imprevisti vari? tutti al riparo e didattica on line; nuova probabile, probabilissima, pandemia? pronti e attrezzati, il mondo va avanti. Quanti risparmi? E quanta sicurezza in più?
Nulla di tutto questo: la miglior prova data collettivamente dagli italiani, dopo quella delle strutture sanitarie, riposta in cantina e lì lasciata marcire. Semplicemente come se niente fosse mai accaduto. Zero. E questo in favore di un’idea vetusta - ormai superata alla luce dei fatti - di attività da svolgere sempre e comunque in presenza. Potenziare le scuole, balbettanti in informatica e telematica; supportare le famiglie, spesso lasciate sole; formare gli insegnanti, maltrattati e dimenticati: tutto questo avrebbe potuto produrre un decisivo balzo in avanti a beneficio dell’intero Paese, in evidente ritardo rispetto ad altri quanto a competenze, tecnologia e innovazione. Abbiamo perso una grande occasione, diciamocelo con franchezza. E così siamo ancora qui, a disquisire di rime buccali, banchi monoposto e lezioni al cinema, in sale chiuse, buie e ovattate. Il futuro può attendere, alla fermata del bus.
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Quotidiano Di Puglia