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A casa con gli avanzi del ristorante: contro i rincari c'è la doggy bag. Ma non tutti la chiedono. Tra chi può permettersi quello che oramai sta diventando quasi un lusso, cioè un pranzo o una cena fuori in famiglia o con gli amici, aumenta il numero di richieste delle doggy bag, i contenitori usati per recuperare il cibo (e anche il vino) non consumato e che, in questo modo, non viene buttato nei cesti dell'immondizia dei ristoranti, ma mangiato successivamente. Il termine, che letteralmente significa vaschetta per gli avanzi per il cane, è oggi largamente usato, per estensione, per indicare il contenitore in cui conservare il cibo che non i cani, ma i loro padroni consumeranno a casa. La pratica, molto diffusa negli Stati Uniti e in Paesi europei come la Francia e la Gran Bretagna, in questi ultimi mesi - complici i rincari in ogni settore - sta prendendo piede anche in Italia.
La tendenza secondo Coldiretti
Dall'indagine, portata avanti da Coldiretti Puglia insieme a Ixè, infatti, emerge che quasi quattro consumatori su dieci portano a casa ciò che rimane nel piatto. Un dato che è raddoppiato nel giro degli ultimi dieci anni. Il caro spesa determinato dai rincari energetici e la necessità di ridurre gli sprechi stanno così cambiando le abitudini dei cittadini. «Con l'inflazione che ad agosto 2022 ha raggiunto il record dal 1985 e i beni alimentari in aumento del 10,6 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente - rileva Coldiretti - per molte famiglie è diventato indispensabile ridurre al massimo gli sprechi. Una situazione che spinge così sempre più persone a superare l'imbarazzo e a chiedere di portare via quanto rimasto nel piatto per consumarlo successivamente tra le mura domestiche».
L'analisi Coldiretti-Ixè evidenzia, però, che il 17 per cento richiede la doggy bag solo raramente, mentre il 12 per cento degli italiani ritiene che sia una pratica volgare e da maleducati o, comunque, prova vergogna nel fare una simile richiesta al cameriere.
Di fronte a questa nuova esigenza, aggiunge l'associazione degli agricoltori, «la ristorazione si attrezza e in un numero crescente di esercizi, per evitare imbarazzi, si chiede riservatamente al cliente se desidera portare a casa il cibo o anche le bottiglie di vino non finite e si mettono a disposizione confezioni o vaschette ad hoc. Un servizio nei confronti del cliente che ha un costo per ristoranti e agriturismi, considerati i rincari che devono affrontare, dall'energia alla carta da asporto, alle buste per il confezionamento e per la conservazione degli alimenti, che cominciano addirittura a mancare».
Le difficoltà vissute dalla ristorazione si ripercuotono, naturalmente, sull'intera filiera, con un effetto a cascata. A rischio, secondo Coldiretti, c'è un sistema che dai campi alla tavola vale 575 miliardi di euro, quasi un quarto del Pil nazionale, e vede impegnati ben 4 milioni di lavoratori in 740mila imprese agricole, 70mila industrie alimentari, oltre 330mila realtà della ristorazione e 230mila punti vendita al dettaglio. Si stima che oltre il 10 per cento delle imprese sia a rischio chiusura per rincari diretti e indiretti determinati dall'energia, che vanno dal +170 per cento dei concimi al +90 per cento dei mangimi, al +129 per cento del gasolio. Rincari considerevoli anche nel settore del vetro, che costa il 30 per cento in più. Prezzi più alti pure per i contenitori in Tetrapack (15 per cento), per le etichette (30 per cento), per il cartone (45 per cento), per i barattoli di latta (60 per cento), fino ad arrivare al 70 per cento in più per la plastica. Da qui l'appello di Coldiretti: «Come per il gas, anche e soprattutto nell'alimentare l'Italia deve intervenire sui costi energetici per difendere la propria sovranità alimentare, tagliando i costi dell'energia per salvare aziende e stalle e scongiurare il rischio concreto di un crack nazionale».
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Quotidiano Di Puglia