Pastore alla fine di luglio versò un’altra mazzetta da 10mila euro al capitano

Pastore alla fine di luglio versò un’altra mazzetta da 10mila euro al capitano
di Lino CAMPICELLI
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Sabato 17 Settembre 2016, 08:04 - Ultimo aggiornamento: 15:32

Altro che tangente da 5mila euro per il direttore di Maricommi Taranto. Nella cassa privata del capitano erano già finiti 10mila euro. Si tratta, evidentemente, di un’altra tranche del suo rapporto privato con l’imprenditore Vincenzo Pastore che risale alla fine di luglio. E che i finanzieri hanno certificato attraverso indagini e intercettazioni.
Le une e le altre, la cui sostanza non è ancora del tutto nota, hanno indotto l’accusa pubblica a contestare pure l’imputazione di turbativa d’asta aggravata.
L’ipotesi di reato si somma a quella di corruzione che “incastra” il comandante di Maricommi Giovanni Di Guardo, chiamato dallo Stato maggiore della Marina per fare pulizia nell’importante presidio militare, e l’imprenditore 69enne Pastore, titolare della ditta “Teoma”, invitato a pagare per ottenere l’appalto delle pulizie nelle sedi della Marina militare, del capoluogo jonico e di Napoli.
Quell’appalto, come è noto, non era stato ancora aggiudicato. Ma era sulla buona strada. E tutto sembrava essere stato perfezionato perchè la procedura andasse in porto.
 
Questa volta, come sembrerebbero aver accertato i militari delle fiamme gialle, non vi sarebbe stato alcun accordo percentuale sull’importo dell’appalto. Vi sarebbe stato molto di più.
L’acume investigativo dei finanzieri, chiamati a decodificare decine e decine di dialoghi dal contenuto talvolta inequivocabile, avrebbe permesso di stabilire come l’articolazione dell’appalto nel settore delle pulizie conferisse al comandante di Maricommi un potere incondizionato.

Uno strapotere, in sostanza, che l’ufficiale avrebbe potuto (e dovuto) gestire nel tempo.
In sostanza, secondo i riscontri probatori acquisiti nell’inchiesta diretta dal dottor Maurizio Carbone, l’effettuazione dei lavori sarebbe stata spalmata attraverso la serie di incarichi che doveva essere affidata alla “Teoma” in un periodo di tre anni.
Il che equivale a dire che la somma complessiva di undici milioni di euro era destinata a lievitare. O poteva, in astratto, essere limitata.
Di qui, appunto, il forte ascendente del numero uno di Maricommi che aveva in pugno, secondo le prime conclusioni investigative delle fiamme gialle, la ditta di pulizie ed il suo titolare.
Si spiegherebbero così i ventimila euro - 10mila già versati a luglio e 5mila sequestrati nel corso delle perquisizioni di mercoledì scorso - riconosciuti dal sindaco di Roccaforzata nella sua qualità di imprenditore all’alto ufficiale della Marina.

Gli investigatori, però, che non hanno per ovvi motivi sdoganato nessuna delle intercettazioni che corredano il robusto quadro indiziario, sospettano che vi siano state altre dazioni di denaro, solo al momento ipotizzate.
Una circostanza, peraltro inquietante, sembra certa: l’inchiesta è destinata ad avere sviluppi a stretto giro di posta.
Non per niente a Maricommi, infatti, sussistite un clima di forte preoccupazione per quel che potrà accadere nelle prossime ore.
D’altra parte, il riserbo che accompagna (ed ha accompagnato) gli atti d’indagine sembra decisamente indicativo. Se il caso fosse stato circoscritto ai provvedimenti adottati nei confronti di Di Guardo e di Pastore, infatti, vi sarebbe già stata una sorta di discovery che, al contrario, è del tutto assente in questa fase.
E anche l’ulteriore imputazione di turbativa d’asta, contemplata nel quadro d’insieme, che grava a carico dei due attuali indagati, lascia supporre che l’affaire non sia stato consumato in un semplice gioco a due.

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