Ex Ilva, sciopero di 48 ore in area Altoforni

A Taranto si incrociano le braccia mentre a Roma i vertici nazionali delle tre sigle sindacali lanciano un nuovo l’appello al Governo Meloni affinché fermi Mittal, lo estrometta dalla gestione di Acciaierie d’Italia e risolva il contratto

Ex Ilva, sciopero di 48 ore in area Altoforni
di ​Domenico PALMIOTTI
5 Minuti di Lettura
Martedì 5 Dicembre 2023, 21:17 - Ultimo aggiornamento: 6 Dicembre, 12:47

Su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, il Governo, col ministro Adolfo Urso, conferma la linea e chiede al socio privato Arcelor Mittal di fare la sua parte finanziaria assicurando che il socio pubblico è pronto a fare la propria. Ma a poche ore dalla nuova assemblea dei soci (oggi alle 15) chiamata a trovare un accordo sul sostegno finanziario urgente all’azienda, i sindacati Fim, Fiom e Uilm alzano il tiro con due iniziative. 

Via allo sciopero


A Taranto si proclamano da oggi 48 ore di sciopero del personale addetto all’esercizio degli altiforni e si diffida l’azienda dal fermare l’altoforno 2, operazione già cominciata dall’altro ieri.

A Roma, invece, i vertici nazionali delle tre sigle lanciano un nuovo appello al Governo Meloni: fermi Mittal, lo estrometta dalla gestione dell’ex Ilva, risolva il contratto, chieda il risarcimento danni, salga in maggioranza nella società e affidi il gruppo in via transitoria ad acciaieri italiani. Sulla stessa linea anche l’Usb. Ore delicate, quindi, per la partita dell’ex Ilva, mentre ancora non si sa quali segnali verranno da Mittal.

Il nodo da sciogliere

È la terza assemblea in pochi giorni. Quelle del 23 e del 28 novembre si sono chiuse con un nulla di fatto. Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso: in attesa del rilancio dell’azienda, servono almeno 320 milioni per la continuità. Invitalia, socio pubblico di minoranza, ha detto che c’è. Ma Mittal, che ha la maggioranza, non ha manifestato analoga disponibilità. E l’azienda ha continuato ad avvitarsi nella sua crisi finanziaria e produttiva. La fermata dell’altoforno 2 è stata presentata venerdì sera dall’azienda come temporanea, sino all’11 dicembre, e rientra in un piano di manutenzioni che riguarderà anche altre aree delle fabbrica. 

I sindacati


Ma i sindacati non ci credono. Ricordando che l’altoforno 1 è stato fermato ad agosto e non è più ripartito, malgrado il suo riavvio fosse stato promesso per settembre, le sigle sostengono: «Questa ormai è diventata una consuetudine». E ancora: su questa fermata non siamo stati consultati. Senza trascurare, dicono le sigle, che fermare l’altoforno 2 rischia di causare situazioni critiche per la sicurezza, l’ambiente e la salvaguardia impianti. Lo sciopero che comincia oggi, aggiungono i sindacati, serve quindi a “impedire che Arcelor Mittal continui nel suo ricatto utilizzando i lavoratori e la fabbrica come scudo per ricevere ulteriori risorse pubbliche da sperperare sino alla chiusura dello stabilimento”. Commenta Rocco Palombella, numero 1 della Uilm: “La decisione di proclamare 48 ore di sciopero per i lavoratori dell’area altiforni rappresenta in modo inequivocabile il dramma che vivono tutti i lavoratori dell’ex Ilva a ogni livello. Bene fanno i lavoratori, nonostante il lavoro gravoso, a opporsi alla fermata dell’altoforno 2 e a chiedere la ripartenza dell’altoforno 1, fermo da agosto e che sarebbe dovuto ripartire entro settembre”. 

Il ruolo del Governo


Se a Taranto ci si muove verso il management, a Roma, invece, si preme sul Governo. “Fermiamoli finché siamo in tempo, mancano poche ore”, sostengono Fim, Fiom e Uilm nazionali con esplicito riferimento a Mittal. 
“Il Governo - dicono le sigle - non ha altra scelta: deve estromettere questo gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda”. Si chiede “un provvedimento d’urgenza” con cui il Governo “deve acquisire la maggioranza”. Obiettivo: “individuare soluzioni industriali, precettando produttori nazionali” a cui affidare “transitoriamente la gestione di Acciaierie d’Italia e il salvataggio dei 20 mila lavoratori di tutti gli stabilimenti”. 
“In base alle conclusioni dell’assemblea dei soci, siamo pronti - è l’annuncio dei sindacati - a realizzare un presidio permanente al fine di essere ricevuti a Palazzo Chigi, a partire dal prossimo 11 dicembre”. E sull’assemblea odierna, i sindacati intravedono già la conclusione: “per la terza volta consecutiva”, sostengono, Mittal “ribadirà di non voler mettere le risorse necessarie per continuare a mantenere in vita l’ex Ilva”. Spera ancora in un esito diverso il ministro delle Imprese, Urso, che dall’altro ieri è tornato ad esprimersi sul dossier ex Ilva (negli ultimi tempi non lo stava facendo più). E questo viene letto come un cambio di passo all’interno del Governo. Ovvero, se sino a ieri, attraverso il memorandum con Acciaierie e Mittal, il ministro Raffaele Fitto (Affari europei, Coesione, Sud e Pnrr) stava cercando un accordo con Mittal nel quadro degli attuali rapporti, garantendo anche 2 miliardi di risorse europee, adesso, invece, ha ripreso quota l’ipotesi - sempre caldeggiata da Urso - che vede lo Stato disposto a salire in plancia di comando se Mittal perseverasse nel disimpegno. . “Il Governo, in maniera coesa e unitaria, ha chiesto agli azionisti di fare la loro parte, innanzitutto al socio maggioritario, cioè all’investitore straniero, ma anche a Invitalia. In assemblea vedremo”. “Noi - aggiunge - siamo in campo perché convinti che il sito di Taranto e di Genova di Acciaierie d’Italia siano uno straordinario esempio della siderurgia. Un esempio di forza e tale devono tornare ad essere” e dunque “aspettiamo le decisioni degli azionisti, poi il Governo come sempre farà la sua parte”. E su Taranto, Urso chiosa: “Deve incamminarsi velocemente sulla strada della riconversione”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA