Ex Ilva, addio immunità. Paralisi vicina: «In fabbrica tutti fermi»

Ex Ilva, addio immunità. Paralisi vicina: «In fabbrica tutti fermi»
di Francesco G.GIOFFREDI
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Giovedì 24 Ottobre 2019, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 31 Ottobre, 17:16
Nel vicolo cieco, dopo l'ennesima retromarcia. L'incertezza torna a strozzare l'ex Ilva di Taranto e il colpo d'accetta sulle tutele penali per i manager Arcelor Mittal riapre definitivamente il caso: il colosso franco-indiano rischia di rimettere in discussione tutto, sbattendo la porta e andando via. Perché cambiano molte cose e cambia innanzitutto il quadro delle potenziali responsabilità penali in attuazione del piano ambientale. Mittal potrebbe così ridimensionare drasticamente produzione e occupazione (l'ipotesi: scure su 5mila posti con chiusura dell'area a caldo), dopo aver assicurato 2,4 miliardi di investimenti.

Si naviga a vista e gli effetti sono già tangibili: capisquadra, capireparto e capiturno «chiedono di essere esonerati dalle responsabilità» - dice Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. Tradotto: la fabbrica è sempre più intrappolata in paura e stallo. I vertici aziendali sono una sfinge (Lucia Morselli è da pochi giorni il nuovo amministratore delegato), il governo assicura «un punto di equilibrio», ma in realtà è un polverone di indiscrezioni e soluzioni di varia risma solo accennate e nemmeno un po' confermate, M5s e Pd giocano la loro partita politica sulla scacchiera dell'ex Ilva, anche a costo di ritrattare radicalmente precedenti posizioni. E di far saltare il banco tarantino.

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Ieri il Senato ha dato il via libera al maxi-emendamento (su cui era stata posta la questione di fiducia) al Decreto imprese. Proposto dai parlamentari cinque stelle (in testa Barbara Lezzi, senatrice salentina M5s ed ex ministro dal dente avvelenato), l'emendamento passa un colpo di spugna sulle tutele penali per il management Mittal: lo scudo (circoscritto all'applicazione del Piano ambientale) era stata introdotta dal governo Gentiloni, estromessa dall'esecutivo gialloverde, rivisitata a corretta dal Mise a guida Luigi Di Maio e ora nuovamente depennata. Sempre dai pentastellati, ma stavolta col contributo di Pd e renziani - che in passato s'erano stracciati le vesti alla sola ipotesi di un provvedimento analogo. Il maxi-emendamento, che deve essere convertito in legge entro il 3 novembre, passa ora alla Camera. Sul tema, ieri è stato approvato un ordine del giorno Pd-Iv-Autonomie a tutela del sito siderurgico jonico, sul quale si è impegnato in aula il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli.

Cosa accadrà? Filtrano le ipotesi più varie, da uno scudo light ai rastrellamento di risorse per la conversione tecnologica del sito tarantino, dal tavolo istituzionale al tagliando dell'accordo di oltre un anno fa tra governo e Mittal, fino all'ingresso pubblico nella compagine societaria. Insomma: il caos. Patuanelli ha già incontrato Morselli, un vertice definito «conoscitivo». Ma fonti parlamentari riferiscono che Mittal già due settimane fa aveva annunciato al governo di voler ridurre la produzione a 4 milioni di tonnellate annue. Spiega Andrea Cioffi, senatore M5s e già sottosegretario al Mise: «Il fatto che l'articolo 14 sia stato stralciato non implica nulla. Uno scudo penale che si trascina per anni oltre a essere scorretto nei confronti dei cittadini di Taranto, è un'anomalia giuridica, come è stato evidenziato dalla procura di Taranto. Qui c'è da fare un tagliando all'intesa con Mittal, perché nel frattempo i dazi americani hanno provocato una distorsione del mercato europeo dell'acciaio e la stessa holding che ha rilevato l'ex Ilva ne ha risentito. C'è l'intenzione di portare avanti l'impegno con Mittal: garantiremo loro l'eliminazione di ogni impedimento burocratico che ostacoli gli adeguamenti ambientali che hanno sottoscritto».

Ma per il Pd la questione investe anche il premier: «Ora il compito spetta al presidente del consiglio Conte» oltre che al Mise, evidenzia il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, subito dopo avere votato la fiducia in aula. E un'idea il Pd la dà: «la nostra linea è fortemente orientata ad Industria 4.0», ovvero «incentivi, risanamenti ambientali e modernizzazione». Caustico Francesco Boccia, ministro pd degli Affari regionali: «Non sono stato io ma Di Maio ad aver fatto una mediazione sulla vicenda delle bonifiche e dell'immunità. L'ha fatta lui ed oggi il M5s presenta un emendamento che corregge la linea di Di Maio. Arcelor Mittal sta riducendo la produzione per la questione dell'immunità o aveva già deciso? Secondo me aveva già deciso di farlo».

I sindacati salgono sulle barricate. Commenta Maurizio Landini, segretario generale Cgil: «È importante che il governo convochi rapidamente il tavolo perché ognuno si deve assumere le proprie responsabilità ed è chiaro che non siamo disponibili a discutere di mille licenziamenti, ma neanche di uno. Avendo firmato l'accordo, non capisco perché ci sia bisogno di modificare un impegno previsto. Rischiare di riaprire un contenzioso? Continuo a non capirne la ragione e lo considero un errore».
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