Ex Ilva: a cinque anni dall'arrivo di Arcelor Mittal restano i problemi di Acciaierie d'Italia

Una protesta dei lavoratori ex Ilva
Una protesta dei lavoratori ex Ilva
di Domenico PALMIOTTI
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Giovedì 2 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 07:16

Cinque anni fa come ieri Arcelor Mittal assumeva la guida dell’ex Ilva sino ad allora affidata ai commissari dell’amministrazione straordinaria. Un giovane manager Matthieu Jehl, nelle vesti di amministratore delegato della società, si presentò ai giornalisti qualche giorno dopo, il 7 novembre, e disse: «Arcelor Mittal è il più grande produttore di acciaio al mondo ed ha una storia di fusioni di successo. Vogliamo ottenere lo stesso risultato con l’Ilva. Abbiamo grandi ambizioni e l’obiettivo di fare Arcelor Mittal Italia la migliore azienda del gruppo in Europa». Sulle frasi di Jehl - attuale Ceo del gruppo in Francia - ci fu un’apertura di credito verso la multinazionale. Ma durò poco, perché già poche settimane dopo affiorarono le prime cause di coloro che erano ricorsi al giudice del lavoro contestando i criteri con cui Mittal aveva selezionato i 10.700 da assumere dal bacino dei 13mila del gruppo, ricorsi in molti casi vinti. E poi a luglio 2019 arrivò la prima cassa integrazione, che da allora non è mai stata interrotta. Infine a ottobre dello stesso anno l’uscita di Jehl per far posto, nel ruolo di ad, a Lucia Morselli, tuttora in carica. 

Il passaggio ad Acciaierie d'Italia e la situazione


Cinque anni dopo di quelle frasi di Jehl cosa è rimasto? L’azienda, diventata dal 2021 Acciaierie d’Italia, con Mittal al 62 per cento e Invitalia al 38, dichiara di aver attuato diversi progetti e soprattutto il piano ambientale con 1,8 miliardi di investimenti, di cui 1,3 a carico del privato e la restante parte in quota amministrazione straordinaria, proprietaria degli impianti (da ricordare, però, che su alcune prescrizioni Aia l’azienda ha chiesto delle proroghe non essendo riuscita a rispettare la scadenza del 23 agosto scorso). 
Ma per il resto? La produzione non è risalita: quella di acciaio solido è stata di 3,471 milioni di tonnellate nel 2022 (ne erano stati promessi 5,7 milioni almeno sino a giugno 2022), 4,053 nel 2021 e 3,421 nel 2020.

Quest’anno, poi, non saranno gli annunciati 4 milioni ma 3. Oltre alla produzione minima, vanno segnalati la cassa integrazione che continua con numeri elevati, un esteso conflitto con i sindacati, l’assenza di rapporti con le istituzioni locali, l’indotto e i fornitori non pagati o saldati con molto ritardo, il rischio che grava su approvvigionamenti essenziali come le materie prime e il gas, i contenziosi aperti su più fronti. Quel modello di azienda evocato da Jehl cinque anni fa è lontano anni luce, mai visto.

Il futuro incerto

Eppure il 2 ottobre l’ad Morselli dichiarava a Taranto: «Non è un momento brutto per l’azienda. Quest’azienda è completamente diversa da quella di era quattro anni fa, è molto più bella, molto più potente, molto più forte». Ma pochi giorni dopo, il 17, in audizione alla Camera, il presidente di Acciaierie Holding, Franco Bernabé, dichiarava: «La società si spegne per consunzione. È molto incerto il futuro del sito». 
Due versioni molto diverse, che rimandano - come un anno fa - al vero nodo: Mittal e Invitalia possono convivere? Anche un anno fa, come oggi, le questioni erano identiche. La società collassata finanziariamente, e con una produzione al minimo, l’alert di Snam Rete Gas sul blocco della fornitura, i consigli di amministrazione convocati in sequenza ma senza decidere nulla perché non c’era accordo tra i soci. Poi, la situazione migliorò quando arrivò l’annuncio che Invitalia avrebbe erogato 680 milioni. Ma tutto è durato poco più di un semestre. Adesso siamo punto e a capo. 

Le divisioni nel consiglio d'amministrazione


Il nuovo cda di Acciaierie Holding è stato riconvocato per la prossima settimana affinché convochi, a sua volta, l’assemblea chiamata a prendere atto delle dimissioni di Bernabè, ma è alta la probabilità che anche la prossima seduta vada a vuoto. Non si tratta solo di nominare il successore di Bernabè, ma di affrontare il punto vero della questione, la coesistenza tra i due soci e l’impegno finanziario da assicurare in ragione delle quote azionarie possedute. L’ad Morselli già dal precedente cda ha battuto cassa chiedendo altri 320 milioni dopo i 750 arrivati mesi fa (680 da Invitalia e 70 da Mittal sotto forma di crediti commerciali). Ma Invitalia - nella lettera dell’ad Bernardo Mattarella - chiede se quest’ulteriore sostegno finanziario sia “sufficiente”, “come tale somma sia stata calcolata”, quali sono le prospettive, qual è la situazione finanziaria e di cassa “attuale e prospettica tanto di AdI spa quanto della Holding”. Interrogativi che attengono il ruolo del privato Mittal in termini di impegni e garanzie. Che evidentemente non ci sono. Il tutto si intreccia col negoziato che il ministro Raffaele Fitto sta portando avanti con Acciaierie e Mittal sulla base di un memorandum firmato lo scorso 11 settembre, negoziato sul quale Palazzo Chigi ha aggiornato i sindacati entro il 7 novembre. 

La richiesta di Adi


Ieri “Il Sole 24 Ore” ha rivelato un particolare del memorandum: la richiesta di Acciaierie e Mittal di togliere la facoltà - inserita nella legge n. 17 del 3 marzo - che il socio pubblico con più del 10 per cento d’una società, possa chiedere l’amministrazione straordinaria qualora ne ricorrano i presupposti. Morselli già contestò questa norma in Parlamento, citando un parere del giurista Sabino Cassese disse che era incostituzionale, e ora insieme a Mittal rilancia. Obiettivo: sterilizzare Invitalia (che ha il 38), togliere dalle mani del Governo una leva da usare sia pure come estrema ratio e probabilmente depotenziare anche la possibilità che lo Stato vada in maggioranza (60 per cento). Ma, a differenza dello scudo penale tolto dal Conte II e reintrodotto dall’Esecutivo Meloni, questa norma è stata voluta dall’attuale Governo e approvata dalla maggioranza di centrodestra. Era così blindato il testo del decreto, che nessuna modifica è passata, nemmeno quelle suggerite da Fratelli d’Italia. E ora il Governo rinnegherà se stesso per assecondare Mittal e Acciaierie? 

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