Ex Ilva, non c'è il successore: Franco Bernabè per ora non lascia. Assemblea entro otto giorni

Ex Ilva, non c'è il successore: Franco Bernabè per ora non lascia. Assemblea entro otto giorni
di Domenico PALMIOTTI
5 Minuti di Lettura
Venerdì 27 Ottobre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 13:53

Franco Bernabé resta per ora in sella e conserva temporaneamente la carica di presidente di Acciaierie d’Italia Holding. Si sarebbe dovuto dimettere ieri, chiudendo un’esperienza cominciata a luglio del 2021. Aveva già manifestato le sue intenzioni di andar via e rimesso il mandato nelle mani del Governo per consentirgli di decidere in “assoluta libertà”. Lo aveva confermato lo scorso 17 ottobre alla Camera in audizione e ribadito qualche sera fa a La7 intervistato da Lilli Gruber (“Presidente? Ancora per qualche giorno”). Invece ieri ha dovuto soprassedere sull’abbandono. È rimasto presidente per spirito di responsabilità ed evitare di complicare la vita ad una società che di problemi e guai ne ha già tantissimi. 
È accaduto che il consiglio di amministrazione si sia riunito come previsto, ma non ha visto, a seguire, la costituzione dell’assemblea della Holding di Acciaierie. La sede che avrebbe dovuto prendere atto delle dimissioni di Bernabè. Il cda è infatti rimasto aperto e si è aggiornato alla prossima settimana. Si parla di lunedì o martedì. L’aggiornamento si sarebbe reso necessario perché lo Stato - che attraverso Invitalia è presente al 38 per cento in Acciaierie - un nuovo presidente ancora non ce l’avrebbe. Dovrebbe, pare, ancora individuarlo. E allora il percorso delineato prevede che il cda si riunisca ad inizio di settimana e se nel frattempo l’azionista pubblico avrà trovato il successore di Bernabè, si passerà alla convocazione dell’assemblea per accettare le dimissioni e consentire l’avvicendamento. L’assemblea sarà convocata nel giro di otto giorni dal nuovo cda. L’aver preso tempo è un ulteriore segno della grave crisi in cui versa l’ex Ilva, stretta com’è tra bassa produzione, sos sulla sicurezza e sulla manutenzione degli impianti, materie prime che non si possono comprare, fornitori e indotto non pagati, gas che rischia di essere tagliato perché la fornitura in default è terminata e cento milioni per dare l’anticipo ad un nuovo fornitore, Acciaierie, con la liquidità a secco, non li ha. C’è sì il memorandum che il ministro Raffaele Fitto ha firmato lo scorso 11 settembre con Arcelor Mittal (partner di maggioranza in Acciaierie col 62 per cento) e Acciaierie, ma è un documento che delinea le cose da fare e gli investimenti da mettere in cantiere. Indica un possibile contributo di 2,270 miliardi del RepowerEU su 4,6 totali di investimenti, non è ancora un accordo nero su bianco. Un patto vincolante tra pubblico e privato per la ripresa del gruppo dell’acciaio. E non é detto che sino alla fine lo sforzo del Governo vada a segno.

Il Tar del Lecce

Ieri, intanto, il Tar Lecce ha rinviato a data da destinarsi la trattazione dell’ordinanza del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, relativa allo stop impianti dell’area a caldo della fabbrica a causa delle emissioni inquinanti. È stato il Comune a chiedere un rinvio dell’udienza a dopo il 7 novembre quando è prevista la decisione della Corte di Giustizia Europea su un’altra vicenda che riguarda l’impatto ambientale del siderurgico. La decisione del collegio del Tar di andare oltre il 7 novembre è stata comunicata ieri in aula. Francesco Saverio Marini, avvocato del Comune, evidenzia che se la decisione della Corte di Giustizia Europea dovesse essere favorevole alle tesi dei ricorrenti, a quel punto il Comune chiederà la revoca del cautelare al Tar. L’ordinanza di Melucci è dello scorso febbraio e ha intimato ad Acciaierie d’Italia e a Ilva in amministrazione straordinaria, rispettivamente gestore e proprietario impianti, a dare risposte entro 30 giorni dal provvedimento sindacale, altrimenti nei successivi 30 giorni avrebbero dovuto fermare gli impianti indicati nell’ordinanza. Acciaierie d’Italia e Ilva in amministrazione straordinaria non vi hanno adempiuto. Anzi, Acciaierie ha impugnato l’ordinanza al Tar. Anzitutto davanti a quello del Lazio, ma quest’ultimo, per competenza territoriale, ha poi trasferito il caso a quello di Lecce dove c’è stata una nuova impugnazione. 
Quest’ultimo a luglio ha sospeso l’ordinanza del sindaco e rinviato al 26 ottobre per decidere nel merito. Ieri poi la decisione del Tar di attendere la Corte di Giustizia Europea, una cui decisione favorevole, per il sindaco Melucci, avrebbe effetti positivi anche per la causa aperta davanti ai giudici amministrativi salentini. Commenta Francesca Viggiano, assessore all’Ambiente del Comune di Taranto: «L’attesa del fondamentale pronunciamento della Corte di Giustizia non ci renderà meno attenti nel valutare anche altre iniziative di tutela, compresa la domanda di revoca dell’ordinanza cautelare che aveva sospeso l’efficacia dell’ordinanza sindacale». «La lunga battaglia della nostra amministrazione a tutela della salute dei cittadini - dice Viggiano - non si arresta e non arretra dinanzi a norme che, sebbene formalmente legittime, in realtà appaiono ancora fortemente ingiuste, in particolar modo il tentativo normativo posto in essere dal Governo di limitare i poteri del sindaco in materia di tutela della sanità pubblica, trincerandosi dietro la validità dell’Aia messa in discussione anche dalla stessa Commissione Europea. Ed è proprio qui che si giocherà la partita dinanzi ai giudici del Lussemburgo in merito alla mancata valutazione degli impatti sanitari in sede di autorizzazione, con particolare riferimento ad alcuni inquinanti tra cui il benzene, nonostante siano trascorsi ben 12 anni dal sequestro degli impianti, con enorme nocumento per la popolazione».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA