Crisi Natuzzi, speranze per i 350 in cassa intergrazione a zero ore

Crisi Natuzzi, speranze per i 350 in cassa intergrazione a zero ore
di Nicola NATALE
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Giovedì 4 Febbraio 2016, 09:10
La lunga marcia degli sherpa della Natuzzi. Ieri un altro incontro a Roma della cabina di regia che ha gestito la lunga fase conflittuale tra azienda, sindacati confederali e sindacati di base. Su tutti l’ha spuntata finora il gruppo con sede legale a Santeramo in Colle ma quotato al New York Stock Exchange fin dal 1993. Ma anche i sindacati sono riusciti ad estendere al maggior numero possibile di dipendenti il contratto di solidarietà che limita le ore lavorate ma consente di distribuire tra più dipendenti i carichi di lavoro.

L’obiettivo è ora far lavorare a tempo pieno i restanti 1.918 dipendenti italiani del gruppo Natuzzi, ma rimane il nodo dei 350 dipendenti in cassa integrazione a zero ore. Per loro l’opzione resta sempre quella delle fantomatiche “manifestazioni di interesse da parte di aziende terze” oltre allo “sviluppo di nuove proposte”. Ma sono soluzioni che lasciano scettici i 350 che si sentono esclusi e non protetti rispetto a chi è rimasto “nel perimetro Natuzzi” grazie agli accordi del 3 marzo e 14 ottobre 2015. A condurre la fase dei colloqui individuali è stata la Sofit, una srl con sede a Milano, specializzata nella dismissione di unità produttive. Tuttavia solo 264 cassintegrati su 350 si sono presentati agli incontri e ancora meno (127) sono stati quelli che hanno accettato di prendere parte al processo di ricollocamento. Segno di una radicale diversità di vedute rispetto ad un processo che è stato a lungo definito da impresa, sindacati ed istituzioni come l’unico possibile per gestire “gli esuberi strutturali”. Rimane quindi la diffidenza o la netta contrarietà soprattutto in mancanza di notizie certe sulle nuove imprese e in vista di una ripresa economica che è ancora troppo incerta, per azzardare salti nel vuoto. Ad ogni modo l’azienda fa filtrare i primi scarni dati sulle imprese che hanno deciso di investire al Sud e specificatamente in Basilicata ed in Puglia, grazie anche alla ricerca effettuata da Sofit su aziende “potenzialmente” interessate a riassorbire i lavoratori in esubero.

In Basilicata (non è stato precisato dove) si tratta della ReJoint, fondata a Bologna, attiva nel campo biomedicale che inizierà le preselezioni a partire dal prossimo 15 febbraio. La Cae invece, sempre con sede nel Bolognese a San Lazzaro di Savena, potrebbe essere l’azienda destinata a riaprire i cancelli del dismesso stabilimento di Ginosa. Come si ricorderà nello stabilimento sono stati ricollocati tutti i dipendenti in esubero delle altre sedi produttive italiane del Gruppo concentrate nel triangolo Santeramo, Laterza, Matera. La Cae si occupa di monitoraggio idrogeologico, idrometereologico, degli incendi boschivi e della qualità dell’acqua tutto in tempo reale. Le possibilità di reinserimento sono limitate al momento e riguardano solo 25 lavoratori provenienti dal bacino degli esuberi Natuzzi. Per agevolare la ricollocazione il gruppo ha messo nel carnet delle offerte anche un contributo di 5mila euro per i lavoratori disponibili a farsi assumere presso altre aziende e di 12mila euro per quelle che volessero assumerli a tempo indeterminato. Nel frattempo il gruppo ha anche presentato un piano di formazione destinato agli esuberi strutturali. La frequentazione del corso sarà un “requisito fondamentale” per l’ingresso in qualsiasi percorso di formazione ulteriore, finalizzato al ricollocamento. La cabina di regia romana si è anche occupata della mobilità incentivata, con incentivi che si manterranno tra i trentamila e i ventimila euro fino a giugno del 2016.
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