Ustica, l'ex presidente della Commissione stragi: «Con Amato chiedemmo chiarimenti a Francia e Stati Uniti, ma nessuno rispose»

Ustica, l'ex presidente della Commissione stragi: «Con Amato chiedemmo chiarimenti a Francia e Stati Uniti, ma nessuno rispose»
di Paola ANCORA
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Domenica 3 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10 Marzo, 18:44

Giovanni Pellegrino, lei è stato senatore della Repubblica dal 1987 al 2001 e presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sulle stragi. L’ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, ha chiesto ieri che la Francia di Macron si scusi con l’Italia e le famiglie delle 81 vittime della strage di Ustica perché ad abbattere il DC9 Itavia è stato un missile francese. Cosa ne pensa?
«Sono d’accordo con lui. Come ho scritto nel mio ultimo libro, “Dieci anni di solitudine”, Ustica resta l’unico problema che in Commissione stragi affrontammo e che non può dirsi definitivamente risolto. Che l’abbattimento del DC9 fosse stato causato da un missile francese lo sostenne anche Cossiga: oggi al presidente Macron non costerebbe nulla fare chiarezza, mettendo fine a una lunga storia di misteri e dolore. I familiari delle vittime di quella strage sono stati già risarciti perché, a valle dei giudizi che si sono susseguiti a partire da quel 27 giugno del 1980, è emersa la responsabilità dello Stato italiano: non ha fatto quanto avrebbe dovuto per garantire la sorveglianza e la sicurezza del cielo di cui ha potestà».

Amato parla di una “ragione della Nato” che avrebbe prevalso sulla ragion di Stato in questa vicenda. “Un apparato di militari di vari Paesi – ha detto - hanno negato la verità pensando che il danno sarebbe stato irrecuperabile per la Nato”. È stata violata la sovranità del nostro Paese?
«Amato ha rappresentato ad altissimo livello le istituzioni italiane. Ed è convinto che la Francia non abbia detto la verità su Ustica perché vincolata dal segreto Nato. Di questo c’è qualche eco nel lavoro della Commissione stragi. Il generale Nicolò Bozzo, che dal 1973 al 1982 è stato il più stretto collaboratore di Carlo Alberto Dalla Chiesa ai vertici dell’Arma, si trovava in Corsica nel 1980 e raccontava dell’impressionante traffico di aerei militari francesi che partivano dalle basi meridionali dell’isola. È probabile sia andata come dice Amato, ma i vertici dell’Aeronautica restarono vincolati a questo segreto sovra-statale». 

Un tradimento gravissimo: mentirono al capo dello Stato, che comanda le forze armate, al presidente del Consiglio, alle Commissioni parlamentari. Eppure nessuno di loro ha pagato un prezzo. Perché?
«L’Aeronautica sospettò subito che ad abbattere il DC9 fossero stati gli americani, che “razzolavano” sul basso Tirreno senza avvertire l’aviazione italiana. Restò prigioniera di questo sospetto anche quando si rese conto che non era questa la verità. Il giudice Priore, che indagò sulla strage, imputò ai vertici dell’Aeronautica il delitto di attentato agli organi costituzionali previsto dal codice penale e qualificato come alto tradimento all’articolo 77 del codice penale militare di pace, dichiarando invece estinti per prescrizione i reati tipici dei depistaggi come il falso, l’abuso, l’omissione di atti di ufficio.

L’accusa di alto tradimento era forzata e l’assoluzione finale prevedibile, anche a prescindere dalla modifica nel frattempo introdotta alla legge sull’alto tradimento, in base alla quale la punizione sarebbe scattata solo nel caso in cui lo stesso tradimento si fosse consumato con atti violenti».

Francia e Nato - dice - non avrebbero nulla da perdere nel fare chiarezza su Ustica. Tuttavia ci sarebbe un prezzo quanto meno politico da pagare in un momento nel quale il Nord Africa è segnato dall’instabilità e la Nato, con il conflitto in Ucraina, ha vissuto una crisi di credibilità, non trova?
«L’“arcana imperii” è sempre stato un elemento ineliminabile della storia dell’uomo. Il potere ha la necessità di non dire mai tutta la verità. Certo, ci avvicineremo di più e più rapidamente allo spazio democratico quando tempo e spazio occupati da segreti saranno ridotti al minimo. La Nato da sempre custodisce segreti e lo fa anche gelosamente. Si pensi a Gladio».

Un’organizzazione paramilitare, frutto di un’intesa tra la Cia ed i servizi segreti italiani, per contrastare la possibile invasione dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica e dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Fu Andreotti a confermarne l’esistenza, ma quasi tutti i Paesi dell’Alleanza ne avevano di simili. 
«Non solo Andreotti. Prima di lui, il segreto su Gladio fu rivelato da persone molto vicine ad Aldo Moro, che consegnarono allr Brigate rosse documenti segreti poi ritrovati in fotocopia nel covo brigatista di via Monte nevoso a Milano e in originale nel giardinetto retrostante il covo Br di via Fracchia a Genova. Sono sempre stati vertici politici a infrangere i segreti e quindi, a maggior ragione, perché non farlo anche adesso visto che non ci sarebbero conseguenze?».

C’è qualcosa della ricostruzione fatta da Amato e, prima di lui, da Cossiga che non la convince?
«Non mi convince il fatto che l’aereo che avrebbe dovuto avere a bordo Gheddafi sarebbe stato lo stesso caduto poi sulla Sila. Non mi convince il lungo tempo trascorso fra il ritrovamento del relitto del Mig libico in Calabria e l’incidente di Ustica. Ho sempre ritenuto più probabile che su quell’aereo libico ci fosse un disertore, tanto più che c’erano delle aporie nella ricostruzione dell’episodio. In Commissione ascoltammo un generale dell’Aeronautica che quasi lo ammise. Un carabiniere raccontò che, arrivato sul posto, vide un militare allontanarsi dal luogo dove si trovava il Mig con un pezzo di aereo sotto braccio. E il pilota non aveva nemmeno un piano di volo: ne trovarono uno scritto a matita. Penso abbia disertato e, finito il carburante, sia precipitato. Per il resto, tutto quanto dice Amato è estremamente verosimile. Aggiungerei soltanto che il testo che il Governo D’Alema inviò a Chirac e Clinton per chiedere chiarezza fu concordato non soltanto con Priore, ma anche con me e con Enzo Manca, vicepresidente della Commissione stragi. Ora dovremmo aspettare un gesto di buona volontà dei francesi».

Senatore e perché quel gesto dovrebbe arrivare proprio ora? Le relazioni con i francesi non sono state né sono sempre ottimali. 
«Perché non ora, verrebbe da dire. La competizione fra Stati c’è sempre stata. Lungo la frontiera Ovest-Est l’Italia era avversaria del fronte orientale e vicina a quello occidentale. Lungo quella Nord-Sud, noi siamo sempre stati rivali di Francia e Inghilterra. La verità di quegli anni riposa all’incrocio fra queste due frontiere e non possiamo scriverla da soli. Siamo un Paese troppo emotivo».

Nel 2008 fu Cossiga a riferire del missile francese sul DC9, ma non accadde nulla. Perché?
«Le parole di Amato mi consentono di riparare anche a un mio errore. Ho sempre sottovalutato le dichiarazioni fatte da Cossiga 15 anni fa, le ritenevo una delle sue intemerate. Ma come dice Amato, Cossiga era intelligentissimo ed è stato colui che ha compreso e detto più di tutti sul ruolo dell’Italia nella Guerra fredda, che non è stata altro che una guerra mondiale a bassa intensità».

Nella quale, tuttavia, le forze armate – a partire dall’Aeronautica – non tenevano in grande considerazione il Governo e l’apparato costituzionale italiani, non le pare?
«Le rispondo con un aneddoto inedito. Quando la Commissione stragi ascoltò il generale Arpino, Capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, io gli evidenziai che su Ustica era stato combinato un pasticcio. E lui mi rispose con queste esatte parole: “Caro presidente, è inutile nascondersi dietro a un dito, per noi nel 1980 un terzo del Parlamento italiano era il nemico”. Vivevano ancora nella logica della Guerra fredda: i comunisti erano i nemici e quindi alla politica non si poteva rivelare tutto. La politica e gli avvenimenti di quegli anni non sono comprensibili se non in quest’ottica».

Ma mentivano alle istituzioni dello Stato e i parlamentari del Pci erano stati eletti dai cittadini. 
«Mentivano a chi non riconoscevano e ritenevano un pericolo. Dovremmo tutti essere grati al Pci, perché nel nostro Paese esorcizzò il pericolo di una guerra civile, ma non dobbiamo dimenticare – per comprendere quella stagione – che l’apparato di sicurezza del Pci era un apparato clandestino armato. L’equilibrio democratico, però, ha retto, le garanzie democratiche sono state accentuate. Certo, qualche volta, anche a prezzo della verità». 

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