Stefano Bronzini, l'intervista al rettore: «Il lavoro del futuro sarà intellettuale, dobbiamo ripensare i modelli del Novecento»

Stefano Bronzini, l'intervista al rettore: «Il lavoro del futuro sarà intellettuale, dobbiamo ripensare i modelli del Novecento»
di Giuseppe ANDRIANI
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Martedì 6 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:46

«Si è perso il senso del limite». Stefano Bronzini, rettore dell’Università di Bari, preannuncia così la giornata di oggi, con l’inaugurazione dell’anno accademico al Teatro Piccinni. Una mattinata di studio e approfondimento, con lo sguardo inevitabilmente rivolto al futuro. «Perché dobbiamo essere capaci - spiega - di guardare avanti e di capire in anticipo cosa succederà». Il tentativo, non solo teorico e retorico, del professore è quello di portare l’ateneo che dirige nel futuro, perché nel presente già ci sta bene.

Rettore, perché "il senso del limite" è il tema dell'inaugurazione dell'anno accademico?
«Perché si è perso il senso del limite in tanti aspetti della vita quotidiana e accademica. Il tema è interessante per molteplici ragioni e se analizzato sotto tanti punti di vista, da quello filosofico a quello politico, etico e religioso. Penso che sia un tema trasversale. Nel corso della manifestazione di inaugurazione dell’anno accademico il professore Stefano Mancuso si soffermerà sugli aspetti ambientali, poi interverrà la professoressa Sandra Lucente. La mia relazione sarà legata a conoscenza e mondo accademico». 
Che periodo sta vivendo l’università pubblica?
«Non è un periodo né peggiore e né migliore di tanti altri. Non le darò frasi ad effetto, anche perché credo che tutti i momenti siano particolari e che questi si muovano con un andamento armonico. Noi dobbiamo riflettere sulla direzione da intraprendere per il futuro e questo è uno dei grandi temi del senso del limite. Siamo in una fase di importanti cambiamenti dei modelli strutturali della società, non possiamo soltanto rispondere con una reazione estemporanea». 
Si spieghi meglio.
«Intendo dire che non vedo una volontà reale di interrogarsi su come nel nuovo millennio i modelli costitutivi siano ormai superati. Se non costruiamo nuovi modelli, continueremo a mettere solo “pezze a colore”. Le faccio un esempio concreto».
 

Prego.
«Quando oggi parliamo di diritto allo studio non possiamo pensare solo agli alloggi per gli universitari. Premetto che c’è da fare un plauso al governo e alla Regione per come sono intervenuti in questo ambito. Però oggi bisogna riformulare il concetto e il modello di diritto allo studio. Ad esempio, dovrebbe rientrare in questo anche il tempo libero degli studenti, l’avere degli spazi, dei luoghi adatti per il relax. Lo studente universitario non è un consumatore al pari degli altri, altrimenti sarebbe come un turista. Con la differenza che quest’ultimo magari spende anche di più».
Durante il suo rettorato ha dato grande attenzione al benessere psicologico degli studenti, tanto da avviare il servizio di counseling e da istituire un bonus. 
«Sono orgoglioso di questo, ma mi pongo un problema: è l’università che deve farsi carico di urgenze che riguardano più il welfare e la sanità? Ecco, si stanno dilatando i limiti degli interventi degli atenei a causa di vuoti che vengono generati dall’assenza di altre istituzioni. Abbiamo messo in piedi un servizio di counseling psicologico, abbiamo stanziato anche un bonus per guidare i ragazzi nella scelta di una soluzione privata. Ma torno a chiedermi: è giusto che questo bonus ricada sui bilanci dell’università? No, ma avviene perché c’è una gran confusione. Questi compiti dovrebbero essere affidati ad altri. Mi sembra, invece, che le richieste che vengono fatte all’università siano senza limiti». 
L’Università di Bari fa registrare un incremento delle immatricolazioni. Quanto è soddisfatto? E soprattutto: come si costruisce il boom?
«Sì, sono soddisfatto, però devo fare una precisazione. La media reddituale degli studenti si è abbassata. E questo vuol dire che i nostri studenti spesso hanno dei redditi bassi e che magari le famiglie hanno deciso così per evitare di affrontare i costi che comporterebbe avere un figlio fuorisede. Guardo i numeri con interesse, anche perché noi abbiamo messo su delle politiche finanziarie importanti per il rientro dei ragazzi. Il futuro del lavoro è sicuramente intellettuale, ne consegue che serviranno sempre più competenze alte. Poi c’è anche un altro problema a livello nazionale: abbiamo fatto tanti investimenti intelligenti, ma adesso vanno messi in filiera nei percorsi di estensione della conoscenza. Siamo riusciti a scheggiare quel diaframma che faceva sì che la scelta universitaria fosse soltanto appannaggio di pochi, quantomeno in Puglia. Ma bisogna estendere i confini in modo ancor maggiore».
 

A proposito di conoscenza e futuro del lavoro: Uniba ha puntato anche sull’Intelligenza artificiale. Lei, da umanista, che ne pensa?
«Eviterei qualsiasi demonizzazione manichea nei confronti di un’innovazione tecnologica. Se l'Intelligenza artificiale può servire anche a salvare le persone, ben venga. Quello che mi preoccupa è la conoscenza delle tecnologie nelle mani di pochi. Mi spiego meglio: se in pochi saranno in grado di governare l’Ia, questi pochi governeranno anche noi. La pongo su un piano globale, chiaramente. Il problema è la diffusione della conoscenza».
E l’università del futuro come sarà?
«L'Università deve mettere in discussione i modelli novecenteschi e costruire dei nuovi modelli che siano sostenibili nel prossimo futuro. Servono poli di ricerca, non è necessario avere troppi atenei. Mi ritengo fortunato nel fare questo lavoro: devo sempre guardare un po’ più là. Faccio un altro esempio: se ci fossimo fermati a riflettere sugli effetti dell’ex Ilva tanti anni fa, avremmo capito meglio cosa significava quell’impianto. La ricerca è il binocolo della conoscenza».
Continua la fuga dei cervelli dal Sud e dalla Puglia. Come fermare l’emorragia?
«Il nostro problema non dev’essere il fatto che i ragazzi vanno altrove ma dobbiamo costruire le condizioni affinché tornino. Non desidero che un barese non vada a studiare altrove, spero piuttosto che un ragazzo del Nord voglia venire qui. Lo scambio è importante. Non dobbiamo e non possiamo mettere manette a qualcuno, dobbiamo invece creare delle calamite».
 

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