Venti anni di primarie in Puglia: da festa della partecipazione a scelta della disperazione/I protagonisti e i numeri

A Bari e a Lecce in vista delle Comunali, e in modo inatteso, sono tornate le consultazioni per selezionare i candidati. Ma sembra più una mossa in assenza di alternative e intese

Nichi Vendola e Francesco Boccia nel 2005
Nichi Vendola e Francesco Boccia nel 2005
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 3 Marzo 2024, 11:41 - Ultimo aggiornamento: 11:44

Prima regola delle primarie: parlare sempre delle primarie. Seconda regola delle primarie: non ci sono regole per le primarie, e questo molto spesso è uno dei problemi principali. E dunque, eccoci qui: primarie, quasi vent’anni dopo la prima volta. A Lecce, nei mesi scorsi; a Bari, tra la domenica delle Palme e aprile. Un tempo erano il simbolo dell’avanguardia pugliese, festa di popolo e metodo di selezione dei candidati più o meno solido e stabile, aperte o chiuse, militarizzate dalle truppe cammellate e intrise dei soliti sospetti, lisce o troppo gassate: ora sulla scena del delitto politico tornano le primarie di centrosinistra, ma sono un po’ sbiadite, dimesse, dell’ultima spiaggia, quasi una minaccia che - per il solo fatto d’essere evocata - alla fine si concretizza. Primarie della resa e della delega alla base elettorale: non più naturale sbocco di un processo collettivo, spontaneo, progressivo, ma espediente politicista e calato dall’alto da una politica non più decidente. Primarie della paura, che sanno di via di fuga, di rifugio salvifico, di jolly pescato dal fondo del mazzo per non dividersi e se proprio bisogna. Sono le primarie dell’Ave Maria, come nel football americano: “il lancio dell’Ave Maria” è la mossa della disperazione, palla in avanti e alla cieca, all’ultimo secondo, sussurrando la preghiera, e chissà se va. Siamo finiti lì, ormai. Le primarie qui esordirono nel 2005, era la Puglia laboratorio politico e le primarie ne erano scintilla e grimaldello. Altri tempi, molte epoche fa.

La scelta dell'ultimo momento a Bari
 

E oggi? A Bari il centrosinistra s’era avvitato in un’improbabile e surreale contraddizione: dopo vent’anni di governo della città e della regione, non riusciva a imbastire alcunché, non solo un nome, ma persino una strategia credibile. Tra primarie accennate e congelate, candidati del Pd spediti sulla prima linea e poi frettolosamente ritirati, sforzi d’unità e rincorsa affannosa, a tratti suicida, dei cinque stelle. Nel frattempo Michele Laforgia – sostenuto da La Giusta causa, Sinistra italiana, movimenti e associazioni d’area, poi anche dal M5s – s’è candidato alle Comunali, tentando la fuga. Ma guai a parlargli di primarie, strumento bollato dall'avvocato «a rischio inquinamento», primarie peraltro rispedite al mittente (il Pd) anche dal M5s in una sorta di micidiale nemesi storica (chi più dei cinque stelle ha fatto della partecipazione dal basso un mantra delle origini?). Quando poi i dem hanno calato il jolly Vito Leccese, capo di Gabinetto del sindaco Antonio Decaro, il centrosinistra è piombato nello psicodramma: due candidati, altro stallo, rischio spaccatura. Solo allora, dopo mesi di sostanziale disinteresse, sono state recuperate dalla soffitta le primarie, col placet o qualcosa di più dei leader nazionali, per paura e insufficienza d’altre strade.

Intanto però, in questi giorni, siamo sempre lì: alla lite silenziosa sulle regole delle primarie, sulla registrazione degli iscritti, sul dove (un solo seggio o più gazebo?), sul quando. Ma del resto c’è, da sempre, un problema di imperfezione strutturale, di regole mai chiare, a tal punto che - nei momenti di massimo fulgore delle primarie - s’era pensato persino di normarle con una legge nazionale. Altri tempi, appunto.

Il caso Lecce

A Bari in questi mesi sembrava non volesse nessuno le primarie. Le proponeva il Pd, ma senza convinzione. Le sponsorizzavano Michele Emiliano e Antonio Decaro, ma come ipotesi estrema. Le bocciavano i cinque stelle e Sinistra italiana. A proposito: i vendoliani. Nichi Vendola fu il primo, dirompente protagonista e beneficiario delle primarie. I suoi “figli politici” vanno invece in ordine sparso: “no”, poi diventato “nì”, alle primarie baresi; e invece convintamente “sì” a Lecce, tanto da obbligare il sindaco uscente Carlo Salvemini e l’ondivago Pd (Sì? No? Boh?) a organizzarle e celebrarle. Risultato, a novembre scorso: 76,3% per il primo cittadino, 23,7% per il consigliere Pierpaolo Patti, in tutto 4.333 votanti. Molti? Pochi? Segue dibattito, con più variabili sul piatto: un risultato già scritto alla vigilia, la tendenza generale all’astensionismo, la stanchezza di fondo che ormai contraddistingue le primarie.

La prima volta e le sorprese

Ma quello sull’affluenza è il dibattito per eccellenza a tema primarie, sin dagli albori. A Bari, per esempio, come andrà? L’ultima inchiesta su clan e politica suggerirà forse di abbassare le quote di partecipazione: meglio pochi, ma buoni. Dicono che le primarie siano state inventate in Puglia e probabilmente è vero: 2005, piena esplosione della Primavera pugliese e Regionali all'orizzonte, l’outsider Nichi Vendola sfidò Francesco Boccia (appoggiato dalla nomenclatura dei principali partiti e leader) e vinse, sospinto dal basso e da un vento nuovo, in definitiva cambiando la storia. Quasi 80mila votanti e distacco di poco più di 1.600 voti, i più cattivi raccontano di frotte di elettori di centrodestra spediti a votare “l’eversivo” Nichi, «perché poi contro di lui si vince»: sappiamo bene come andò. Cinque anni dopo, con una commovente perseveranza nell’errore, stesso sfidante (Boccia, con stessa cordata) per il governatore uscente: quasi 200mila ai gazebo e plebiscito per Vendola (73%). Forse fu quella la massima espressione delle primarie pugliesi, per partecipazione e per “essenza” della consultazione.

Venne anche la volta delle primarie nei comuni. Primo esperimento a Lecce, nel 2012: la pd Loredana Capone contro Salvemini e Sabrina Sansonetti, quasi 8mila votanti e 49% per l'allora vicepresidente della Regione. Fu un modo per provare a defibrillare il centrosinistra, in quella fase costantemente minoritario a Lecce. Ma non servì: alle Comunali poi vinse ancora una volta Paolo Perrone, sindaco uscente di centrodestra. E anche lui “battezzato” dalle primarie: 83,6% contro Paolo Pagliaro e Gigi Rizzo, in tutto 17.418 elettori. Due anni dopo toccò a Bari, reduce dal doppio mandato di Emiliano: il centrosinistra incoronò Decaro, quasi 21mila ai gazebo e il 53,4% per il futuro sindaco contro Giacomo Olivieri (42,03%) ed Elio Sannicandro (4,9%). Già, proprio loro: entrambi al centro di recenti inchieste, l’uno è in carcere per i contatti con i clan, l’altro è stato destinatario di misura d’interdizione per presunti appalti truccati. Olivieri spunterà, cinque anni dopo, in altre primarie stavolta di centrodestra: nel 2019 era uno dei sostenitori di Pasquale Di Rella (Forza Italia), che vinse col 50% (e poi perse le “vere” elezioni) su Fabio Romito e Filippo Melchiorre, 14mila al voto. Nelle carte dell’inchiesta su Olivieri e dintorni il faro è acceso anche su quelle primarie (Di Rella è del tutto estraneo alle indagini) oltre che sulle comunali dello stesso anno. Sempre nel 2019 il centrodestra optò per i gazebo a Foggia: vinse l’uscente Franco Landella, poi anche rieletto alle amministrative. Due anni dopo il Comune venne sciolto per mafia. In generale, però, il centrodestra non ha mai elevato le primarie a metodo. Anzi, spesso le ha depennate in premessa.


Chi, almeno fin qui e almeno alla Regione, non s’è mai tirato indietro è Emiliano: primarie nel 2014 e 2020, prima contro Dario Stefàno e Guglielmo Minervini e poi con Fabiano Amati, Elena Gentile e Leonardo Palmisano. I numeri: 140mila votanti e il 57% per il governatore, la prima volta; oltre 80mila e il 70%, cinque anni più tardi. Prove spesso muscolari, per lanciare messaggi di fuoco innanzitutto agli alleati, dietro lo scudo della mitologica “partecipazione dal basso”. Ora, tocca a Bari e a Laforgia-Leccese. E va un po’ così: caos sulle regole, palla buttata in avanti, alla cieca, all’ultimo secondo, e chissà dove alla fine rotolerà. Credendoci il giusto, sperando di raddrizzare in qualche modo il tiro.

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