Xylella, c’è una speranza. Gli scienziati al lavoro: «Il batterio ha rallentato, vi spieghiamo perché»

Xylella, c’è una speranza. Gli scienziati al lavoro: «Il batterio ha rallentato, vi spieghiamo perché»
di Paola ANCORA
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Mercoledì 30 Agosto 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 16:17

Un significativo rallentamento della diffusione e una mitigazione dell’epidemia nel Salento, la zona infetta dove Xylella ha ucciso milioni di ulivi. I primi risultati degli studi effettuati dal Cnr di Bari su come si sia modificata, nel tempo, la propagazione del batterio sono stati presentati il 19 e il 20 agosto scorsi, a Lione, alla quarta Conferenza europea su Xylella organizzata da Efsa, l’Authority della Ue sulla sicurezza alimentare. Il prossimo ottobre saranno dieci anni dalla scoperta della presenza, in Puglia, di questo patogeno descritto per la prima volta da Newton Pierce nel 1892 quando, negli Stati Uniti, distrusse più di 345mila ettari di vigneto. Da allora, Xylella ha percorso molta strada e, aiutata dalla globalizzazione, è arrivata nel 2013 fino a un fazzoletto di terra nell’area intorno a Gallipoli. Partendo da lì, in un decennio, ha distrutto 22 milioni di alberi d’ulivo, moltissimi centenari o millenari, cancellando in un batter di ciglia il paesaggio che aveva reso famoso il Salento in tutto il mondo e la memoria che quel paesaggio custodiva. 

Lo studio presentato in Europa

Oggi, mentre l’attenzione delle imprese e dei paesaggisti è concentrata su come rinaturalizzare il sud della Puglia e ricostruirne la filiera agroalimentare su basi nuove, gli scienziati del Cnr confermano che l’epidemia ha rallentato e non di poco grazie alle nuove pratiche agronomiche e fitosanitarie, alle azioni di contenimento portate avanti e al divieto di reimpiantare specie di ulivo sensibili al batterio e grazie anche a una consistente diminuzione della popolazione di insetti vettore, come la Sputacchina. «Lo scenario cui stiamo assistendo - spiega a Quotidiano Donato Boscia, studioso del Cnr di Bari che ha partecipato alla Conferenza di Lione - è dovuto a molteplici fattori, ancora oggi oggetto di studio.

Innanzitutto a una riduzione massiva della vegetazione con alta concentrazione di batteri a causa dell’infezione; poi alla rimozione di oltre tre milioni di ulivi gravemente danneggiati, spesso sostituiti con cultivar resistenti, al divieto di impianti di cultivar sensibili e infine anche allo spiacevole fenomeno degli incendi negli oliveti ormai secchi. Un fatto da condannare, ma che ha contribuito a questa situazione». 

I dati confortanti

Così, negli ultimi due anni, è cresciuto notevolmente il numero di segnalazioni di una remissione della malattia negli alberi adulti sopravvissuti alla tempesta Xylella, in particolare fra le cultivar Cellina, meno sensibili all’attacco del batterio. «Di conseguenza - spiega Boscia - in alcune aree si registrano fenomeni di parziale ripresa, ora oggetto di indagine. Se un simile quadro si stabilizzasse, infatti, si aprirebbe una speranza di mantenere in vita questi ulivi, fermo restando il fatto che l’olivicoltura competitiva è un’altra cosa, oggi improponibile nel Salento». 
Insomma non è Xylella ad aver perso di forza: il suo genoma, isolato e sequenziato anche di recente dal Cnr di Bari, non è mutato rispetto al 2013. Quello che è cambiato è il contesto: si è “prosciugato” il serbatoio di inoculo del batterio, «ovvero - chiarisce Boscia - la massa vegetale infettata da Xylella e dalla quale la Sputacchina preleva il batterio e lo porta in giro per i campi». Gli alberi sopravvissuti ne hanno poca e così il numero di insetti positivi è notevolmente ridotto, passando dal 60-70% di qualche anno fa al 6% di oggi. «La scelta di vietare di piantare specie sensibili a Xylella - prosegue il ricercatore - sta dando i suoi frutti». 

Il meccanismo delle super-infezioni

Con meno insetti circolanti positivi a Xylella si abbatte anche il numero delle super infezioni, cioè di re-inoculazioni di batterio in piante già infette. Una super infezione equivale - per i non addetti ai lavori - a infierire su un corpo già ferito, fino a dargli il colpo di grazia. Quali effetti produce questa riduzione delle super infezioni? «Se una Ogliarola salentina - spiega Boscia - collassa in un paio d’anni, un olivo della zona di Oria, dove la popolazione di vettori è più contenuta, giunge allo stesso grado di declino in sei o sette anni». 

Tutti segnali positivi, dunque, spiragli di speranza inimmaginabili appena pochi anni fa. Speranza non solo di salvare il salvabile e ricostruire il paesaggio salentino forti dell’esperienza acquisita in questi anni, ma anche di fermare l’avanzata del batterio verso nord, dove l’infezione, sebbene con meno velocità e potenza, continua a macinare chilometri, conquistando terreno nel Brindisino e in provincia di Bari, fra Canosa, Polignano e Monopoli. Il tempo che questa mutazione ci ha concesso potrà rivelarsi un alleato prezioso, ma soltanto se sapremo sfruttarlo al meglio.

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