Autonomia, il no delle imprese: «Danni all'economia ed effetti negativi anche per il Nord»

Autonomia, il no delle imprese: «Danni all'economia ed effetti negativi anche per il Nord»
di Paola ANCORA
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Martedì 20 Febbraio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 07:11

Uno smottamento c’è stato, anche se la grande mobilitazione di piazza auspicata dagli amministratori del Sud, nei giorni scorsi, non è pienamente riuscita. Eppure, il tam tam delle forze parlamentari di minoranza, di intellettuali e costituzionalisti insieme a una larga fetta del tessuto economico-sociale ha ottenuto qualche effetto se è vero, come è vero, che l’ultimo sondaggio Demos sul gradimento dell’autonomia differenziata registra un crollo in ogni parte del Paese, salvo che a Nord-Est, ovvero dalle parti del Veneto del governatore Luca Zaia. Da settembre 2023 a oggi, infatti, i favorevoli sono scesi dal 51% al 44%. Ancora più significativa la scomposizione del dato per area geografica: al Nord Ovest, i favorevoli all’autonomia differenziata calano dal 60% al 54%; rimangono in netta minoranza al Centro Nord (45%); crollano al Centro Sud e nelle Isole (al 30%), mentre si confermano in larga maggioranza soltanto nel Nord Est (63%). 

I nodi

La spiegazione si aggancia alle riflessioni consegnate a Quotidiano dall’ex ministro Franco Bassanini, fra gli autori della riforma del Titolo V della Costituzione che ha aperto la strada a una più incisiva autonomia regionale e oggi nettamente contrario all’autonomia. «Un salto nel vuoto» l’ha definita, suggerendo una “manutenzione straordinaria” proprio del Titolo V per rimettere le cose a posto. Impensabile, per esempio, affidare alle Regioni competenze strategiche come quella sull’energia. Dello stesso avviso anche il presidente di Nomisma energia, Davide Tabarelli, e non solo perché il tema - va da sé - va affrontato in un contesto globale com’è globale il mercato - si pensi alle fluttuazioni dei prezzi dopo lo scoppio dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente - ma anche perché quale peso politico potrebbe avere intorno ai tavoli di Bruxelles o del G7 il Governo di una Repubblica divisa e diseguale, nella quale le leve economiche sarebbero controllate dai presidenti di Regione? 
Netto, infatti, il giudizio del parlamentare Pd Claudio Stefanazzi, in prima linea nella battaglia per impedire l’approvazione del ddl Calderoli, ora in discussione alla Camera: «Perché il welfare, i trasporti, la sanità, lo sviluppo economico, l'istruzione dovrebbero essere di competenza regionale? Come per l’energia, identiche obiezioni potrebbero essere sollevate per queste competenze, di uguale e primaria importanza». 
Tranchant è il presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana: «Il mio non è il parere di un uomo del Sud o del presidente degli industriali pugliesi - dice -. Io parlo da imprenditore e dico che l’autonomia differenziata è una iattura. Non è una priorità, non è cosa buona e giusta per come è stata pensata e creerà problemi a qualsiasi imprenditore d'Italia. Perché chi farà impresa a Bergamo dovrà interfacciarsi, come me, con assessorati e regole diverse da una Regione all’altra. Perché non sapremo se per il porto di Genova varranno regole diverse rispetto a quello di Gioia Tauro. Mentre assistiamo a questa guerra fra guelfi e ghibellini, fra destra e sinistra, noi imprenditori sappiamo che l’autonomia differenziata non farà bene all’economia e va in direzione diametralmente opposta a quello di cui avremmo bisogno: un fisco unico europeo, regole uguali per tutti». 
Una riflessione che, dati alla mano, hanno suggerito in queste settimane anche analisti ed economisti, oltre all’Ufficio parlamentari di bilancio. Non è chiaro, infatti, in che modo verrebbe modificata la sostenibilità del debito pubblico, che oggi vale il 140% del Pil ed è garantito dalle tasse. Il rischio attribuito a quel debito finirebbe sicuramente per aumentare perché l’autonomia differenziata sottrarrebbe una sostanziosa fetta di entrate - i tributi pagati cioè nelle Regioni richiedenti maggiori competenze - alle casse del Tesoro. Come in una reazione a catena, i tassi di interesse sui nostri Titoli di Stato si innalzerebbero e ciò si ripercuoterebbe anche sulle condizioni finanziarie delle banche, portando a un aumento del costo del debito per le imprese, al Nord come al Sud, e a un aumento dei tassi sui mutui. Dunque, a chi conviene l’autonomia?
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