«Il report di Svimez, che ha analizzato il divario tra Nord e sud in tema di Sanità, scoperchia, di fatto, una situazione già nota e mette nero su bianco ciò che giornalmente si cerca di arginare, ovvero la crisi che il Sistema sanitario nazionale sta attraversando». Un fiume in piena l’assessore regionale alla Sanità Rocco Palese che non ha dubbi sulle ricadute negative che l’approvazione del Disegno di legge sull’autonomia differenziata regionale potrebbe avere sul Mezzogiorno, allargando le disuguaglianze territoriali nell’accesso al diritto costituzionale alla salute. La soluzione passa da «Un adeguamento del Fondo nazionale destinato alla Sanità pubblica, snellimento dei modelli organizzativi e soprattutto da politiche dedicate che tengano conto del criterio della deprivazione».
«Il dato è questo: di fronte ad una situazione di carattere generale in cui l’intero Sistema sanitario vacilla è evidente che nella parte più debole del Paese, cioè il Sud, questa difficoltà si rappresenti in maniera più marcata.
«La prima cosa da fare è allineare il fondo sanitario nazionale rispetto al Pil su base degli standard europei. Ci sono Paesi che arrivano ad 8 punti percentuali, noi siamo intorno al 6,1 % e credo che dovremmo arrivare almeno al 7,4%. In Italia per la sanità si spendono circa 140 miliardi di euro di risorse pubbliche, derivanti dalle tasse che paghiamo, a cui si aggiungono quasi 50 miliardi che i cittadini spendono di tasca propria. Non è sufficiente incrementare le risorse però, serve una rivisitazione a livello organizzativo: non più modelli standard che sono irrealizzabili, serve calarsi nei contesti e nelle realtà, eliminare la rigidità, sempre però assicurando i livelli essenziali di assistenza e su base centralizzata. Siamo in contesto di evoluzione e digitalizzazione incredibile, queste grandi conquiste devono essere calate all’interno del Sistema per semplificare l’accesso alle cure e alla prevenzione».
«I criteri di riparto del Sistema nazionale non sono adeguati ad assicurare la stessa assistenza in tutte le Regioni e quelle a bassa capacità fiscale sono fortemente penalizzate. I valori sono tre: età della popolazione, deprivazione e aspettativa di vita, nella realtà, però, non sono applicati a pieno; questo perché a livello tecnico, si stabiliscono delle variabili differenti, i cosiddetti “pesi”, che vanno ad incidere sulla ripartizione spostando diversi miliardi di euro da una parte o dall’altra. Un meccanismo complesso ma una cosa è certa: viene dato molto più peso all’età media della popolazione, quasi nullo alla deprivazione, ed ecco il Sud penalizzato con l’aumento della povertà sanitaria, e pochissimo all’aspettativa di vita e anche qui al Sud spetta meno perché la vita media è più bassa. Il risultato è meno tutela del diritto fondamentale della salute».
«Dobbiamo migliorare, dobbiamo insistere. Determinanti è che ci siano servizi efficienti ma è anche questione di approccio culturale. Certamente lo screening deve essere effettuato a chiamata, inviando anche i solleciti alle utenti, assicurandosi che siano raggiunte ma ci deve essere una propensione del cittadino. Sarebbe utile in questo momento una promozione più massiva sull’importanza della prevenzione in parallelo con una organizzazione migliore».
«Quella di efficientare quanto più possibile il sistema regionale sanitario, pur in un contesto di grande difficoltà in cui non si trovano neanche i medici. Stiamo cercando di rendere quanto più organizzata e qualificata possibile la spesa sanitaria e di tenerla sotto controllo in ogni aspetto; da questo punto vista si è fatto molto ma c’è ancora margine di miglioramento e non bisogna mai abbassare la guardia. L’obiettivo è ottimizzare il sistema utilizzando al meglio le risorse finanziarie ed umane».