Violenza negli stadi, a Lecce il convegno. Prefetto e questore: «Daspo utile, ma non basta». L'ex ministro Lamorgese: «Serve una rivoluzione culturale»

Violenza negli stadi, a Lecce il convegno. Prefetto e questore: «Daspo utile, ma non basta». L'ex ministro Lamorgese: «Serve una rivoluzione culturale»
di Giuseppe ANDRIANI
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Mercoledì 10 Maggio 2023, 13:58

La violenza negli stadi rappresenta ancora oggi un problema. Ed è un problema anche in Puglia. In Unisalento una giornata di studi, alla presenza di Luciana Lamorgese, ex ministro dell'Interno, e Mario Torsello, presidente Corte d'Appello della Figc (erano intervenuti sul tema negli ultimi due giorni su Quotidiano). L'incontro è stato organizzato dal professor Luigi Melica, a cui sono state affidate le conclusioni, nell'ambito del corso in Diritto e Management dello Sport, che a luglio produrrà i primi laureati e che risulta - ad oggi - un'iniziativa innovativa a livello nazionale. Dall'Unisalento, negli ultimi mesi, sono passati esempi di gestione di società e leghe sportive, fino a trasformare - di fatto - l'ateneo in un luogo di confronto privilegiato su questi temi. 

Il problema violenza negli stadi risale agli anni '80. Agli occhi dell'immaginario collettivo l'Heysel è il più grande evento tragico del calcio europeo. Ma è un problema ancora oggi attuale, vivo, per quanto negli anni siano cambiate dinamiche e modalità. «L'approccio a queste tematiche richiede già nella fase della prevenzione una lettura dettagliata», ha detto nel proprio intervento il procuratore generale di Lecce, Antonio Maruccia. E ha posto l'accento su una serie di situazioni da tenere sott'occhio, tra cui le commistioni tra alcune frange più violente delle tifoserie e gruppi politici estremisti. Come risolvere? La discussione è stata a lungo incentrata sull'utilizzo del daspo, il divieto - cioè - di accedere alle manifestazioni sportive. «Il daspo si è dimostrato negli anni uno strumento, sicuramente perfettibile, per isolare le personalità che fanno solo mano allo sport - ha commentato il prefetto di Lecce, Luca Rotondi -. Io però credo non tanto negli strumenti repressivi ma soprattutto nella prevenzione, che va fatta a partire dalle scuole calcio. Il segnale dev'essere forte, soprattutto nello sport, che dev'essere uno strumento sociale, non un luogo di violenza fisica e verbale».

Sulla stessa lunghezza d'onda Luciana Lamorgese, dal 2019 all'ottobre del 2022 ministro dell'Interno. «La violenza negli stadi è sempre stata al centro delle politiche di sicurezza. Gli interventi normativi adottati in questi anni non bastano. Ho sempre pensato che l'attività debba essere tanto repressiva quanto di prevenzione, che si fa con la formazione dei giovani.

Bisogna partire dalle scuole calcio. I principi di legalità dovrebbero essere principi fermi da cui partire per insegnare ai ragazzi la democrazia, la legalità. Un terreno comune a tutta la società». «La collaborazione con le leghe del calcio e con il Coni ha dato ottimi risultati. Nel frattempo è cambiato l'approccio al problema. Una volta i tifosi quando viaggiavano lo facevano con autobus o con treni, ed era più facile monitorare. Oggi viaggiano con auto private, minivan, ed è tutto più complicato. Pensate a quanto impegno ci sia da parte delle forze di polizia». 

Il questore Andrea Valentino, che ha preso la parola dal pubblico, ha spiegato come il problema non riguardi soltanto le partite di Serie A e dimostrando quanto sia più complicato controllare l'afflusso di gente in impianti più piccoli e in campionati meno importanti mediaticamente. E sul daspo ha detto: «Nell'ambito della violenza negli stadi nulla può essere risolutivo. Il daspo aiuta a tenere lontano dagli stadi le persone che si sono macchiate di reati e comportamenti che hanno determinato un pericolo ma sicuramente non è uno strumento risolutivo. Le misure? Prevenzione, educazione alla legalità, far capire che si tratta di uno sport, che bisogna saper accettare una sconfitta. Poi bisogna fare tutti gli accertamenti possibili. Non utilizzo la parola ultras, che è un termine di per sé positivo. Ci sono persone che utilizzano gli eventi sportivi per sfogare le proprie frustrazioni. Qui serve l'intervento delle forze di polizia, per far sì che questi gruppi siano disgregati il prima possibile».

Alla tavola rotonda hanno partecipato anche Paolo Mormando, procuratore aggiunto Figc; Carlo Schilardi, già prefetto; Rossano Adorno, professore di diritto processuale penale; Ludovico Bin, ricercatore in diritto penale; Francesco Calabro, avvocato. 

Nel proprio discorso, il presidente della Corte d'appello della Figc, Mario Torsello, ha svelato un interessante retroscena storico: il primo divieto ad assistere a una manifestazione in seguito a scontri tra opposte fazioni risale al 59 dopo cristo, a Pompei, nell'Antica Roma. Per arrivare, poi, ai giorni attuali. «La legge n. 401 del 1989 è stata modificata e integrata molte volte - ha detto, così come spiegato in un'intervista su queste colonne qualche giorno fa -, quasi sempre sull'onda dell'indignazione suscitata da episodi di violenza. Proprio perché dettata dall'emergenza, ne è derivata una normativa frammentaria, priva di un serio lavoro di analisi e conoscenza del fenomeno. Quindi da un punto di vista tecnico lascia molto a desiderare. Bisogna però dire, se si va alla sostanza delle cose, che la legge ha sostanzialmente funzionato, limitando i fenomeni di violenza connessa a manifestazioni sportive e l'obiettivo principale degli interventi legislativi quello di aumentare il livello di sicurezza e incolumità in prossimità degli impianti sportivi è stato raggiunto, come è dimostrato dai dati statistici degli ultimi anni».

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