Strage della Grottella, spunta il fiancheggiatore: nuove indagini

Strage della Grottella, spunta il fiancheggiatore: nuove indagini
di Veronica VALENTE
3 Minuti di Lettura
Martedì 23 Febbraio 2016, 10:29 - Ultimo aggiornamento: 10:55

Torna sotto la lente della Procura di Lecce la “Strage della Grottella”. C'è una nuova inchiesta volta a fare luce su chi diede ospitalità ai componenti della banda che la mattina del 6 dicembre 1999 crivellò a colpi di kalashnikov due furgoni portavalori, sulla provinciale Copertino-San Donato di Lecce, provocando la morte di tre vigilantes della “Velialpol” (Luigi Pulli, di 52 anni, Rodolfo Patera, di 32, e Raffaele Arnesano, di 37), e il ferimento di altre tre guardie giurate. C'è un nome sul registro degli indagati.

Si tratta di quel Luigi Tarantini, detto Gino, 66 anni, originario di Monteroni e residente a San Pietro in Lama, tra gli arrestati di ieri con l'operazione “Pozzino” condotta dai carabinieri della tenenza di Copertino e della compagnia di Gallipoli. Adesso si trova nel carcere di Borgo San Nicola con l'accusa di aver fatto parte del gruppo criminale specializzato nella cosiddetta pratica estorsiva del “cavallo di ritorno” (ossia nella pretesa di somme di denaro dai proprietari per la restituzione della refurtiva), in ricettazioni e per la sua vicinanza a esponenti di spicco della Sacra corona unita soprattutto per “favori” legati alle armi.

Racconta questo l'inchiesta con 43 indagati coordinata dal procuratore aggiunto Antonio De Donno. Ma aggiunge dell'altro. Le indagini “Pozzino” svelano i retroscena di una vicenda sulla quale sembrava calato il sipario, individuando proprio in Tarantini l'uomo che avrebbe messo a disposizione del brindisino Vito Di Emidio, detto “Bullone”, e di altri componenti della banda la base logistica per pernottare prima e dopo la strage. E sarebbe stato lo stesso Tarantini a “confessarlo”. In una intercettazione ambientale del 2 luglio 2011, a un uomo che era con lui in auto riferì: «A me lo hanno portato... hanno dormito nella zona mia il giorno della rapina lo sai no?... doppio muro, tutte le cose... non è scappato nulla che ora ho fatto... mettere Matteo là dentro... a casa mia... trenta quaranta carabinieri dietro a casa mia... e se io avessi saputo che fa quelle cose... che poi quello là per me è nipote e figlio...», riferendosi, secondo gli inquirenti, ad Antonio Tarantini, tra i responsabili della sanguinaria rapina, figlio del fratello Armando di cui ha fatto le veci, dopo la sua scomparsa. Lo stralcio del colloquio è a pagina 77 dell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Cinzia Vergine, che aggiunge: «Ancora una volta Luigi Tarantini riferiva al suo interlocutore circa le vicende giudiziarie riguardanti le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Vito Di Emidio in relazione alla strage della Grottella, ribadendo di aver ospitato e favorito il commando che se ne era reso responsabile: nella circostanza forniva un nuovo particolare, affermando di aver avuto la disponibilità di un doppio muro nel luogo utilizzato come nascondiglio».

Ma sarà un'altra inchiesta ad accertare il ruolo avuto dal 66enne. Il procuratore De Donno ha infatti rimesso gli atti al pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia Guglielmo Cataldi, lo stesso magistrato che indagò sulla strage della Grottella, per la quale furono condannati all'ergastolo (la sentenza è diventata definitiva nel 2007) Antonio Tarantini, Pasquale Tanisi, di Ruffano, e il pastore Marcello Ladu, originario della provincia di Nuoro; diciotto anni sono stati, invece, inflitti al collaboratore di Vito Di Emidio, 27 e 30 anni ai cugini e pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau.

© RIPRODUZIONE RISERVATA