Pensioni, la crisi si mangia l'assegno ma il governo vara le contromisure

Pensioni, la crisi si mangia l'assegno ma il governo vara le contromisure
di Michele Di Branco
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Mercoledì 12 Novembre 2014, 10:36 - Ultimo aggiornamento: 11:12
ROMA - Neppure il tempo di incassare il primo assegno.

Che la pensione si stava già svalutando. Il governo si prepara a rimediare all'amara sorpresa in agguato per i 400 mila italiani che nel 2015 matureranno i requisiti per andare a riposo. Palazzo Chigi punta a reagire di fronte al crollo del Pil che, riforma Dini alla mano, rischia di produrre effettivi regressivi sui trattamenti. Infatti senza un rimedio nella legge di Stabilità, dal 1 gennaio le nuove pensioni saranno più basse rispetto a quanto si prevedeva in base ai contributi versati. Il problema è stato sottoposto al ministero del Tesoro dall'Istituto di previdenza sociale. In una lettera riservata, l'organismo guidato da Tiziano Treu chiede al governo di annullare l'effetto della svalutazione delle pensioni determinato dall'andamento negativo del Pil. Un passaggio che fonti del governo promettono di compiere consentendo all'Inps di considerare la crescita a quota zero in modo da evitare, a partire dall'anno prossimo, la svalutazione delle pensioni. In base al meccanismo di calcolo contributivo introdotto nel 1995 dalla riforma Dini, infatti, il montante contributivo viene annualmente rivalutato in base all'andamento della crescita nominale degli ultimi 5 anni. Per la prima volta dopo 18 anni, il parametro (pari a -0,1927%) è finito in territorio negativo e dunque, in teoria, per coloro che andranno in pensione nel prossimo anno, ci sarà un assegno più leggero. Nessun guaio in vista per chi è già pensionato: la sua rivalutazione dei montanti contributivi è stata stabilita al momento del pensionamento e dunque non è soggetta ad alcuna svalutazione. Al sicuro anche coloro che vanno in pensione entro la fine di quest'anno in quanto la riforma ha previsto che nell'anno di cessazione dell'attività lavorativa la rivalutazione dei montanti sia pari ad uno e di conseguenza l'accumulo di contributi versati nell'ultimo anno di lavoro non subisce né una rivalutazione né una svalutazione. Per i futuri pensionati invece il problema, per i prossimi decenni, non è di poco conto e rischia di avere un impatto notevole anche sui conti pubblici.



LA RAGIONERIA

La ragioneria del Tesoro calcola infatti in 5-6 miliardi di euro (tra il 2015 e il 2035) il costo per le casse dello Stato. Vale a dire i soldi che servirebbero per sterilizzare l'impatto della recessione sulle pensioni e permettere così ai circa 10 milioni di italiani che nei prossimi 20 anni andranno a riposo di poter godere di un trattamento coerente con i contributi versati. Per il 2015, gli effetti sulle casse dello Stato non sarebbero poi così rilevanti: ci vogliono poche decine di milioni per sistemare la pratica. Soldi che saranno stanziati nella manovra per evitare che, ad esempio, una pensione di mille euro subisca un taglio da 2 euro al mese. Ma per gli anni a venire il Tesoro è consapevole che il problema, se il Pil non si riprende, è destinato a riproporsi. Così nel governo si prepara a mettere mano alla riforma previdenziale. Anche per rispondere ai rilievi dell'Inps secondo cui la riforma Dini prevede solo la rivalutazione e non contempla, con la caduta del Pil, una svalutazione.