Il fatto è che il nostro Paese ha già sfruttato o “prenotato” buona parte della flessibilità disponibile in base alle attuali regole: quella flessibilità che deriva da un’applicazione intelligente dei Trattati e che - in buona parte anche su impulso italiano - è stata formalizzata nella comunicazione messa nero su bianco dalla commissione nello scorso gennaio. L’utilizzo dei margini consentiti dalla normativa europea è iniziato di fatto - retrospettivamente - già nel 2014.
In quell’anno l’Italia si è ritrovata a sperimentare la «congiuntura eccezionalmente sfavorevole» («exceptionally bad times») che secondo la normativa europea si ha quando il cosiddetto output gap, ovvero lo scarto tra il Pil effettivo e quello potenziale, eccede il 4 per cento. In questo contesto sono state superate le obiezioni circa il mancato rispetto della regola del debito.
L’INDICATORE
Nel 2015 poi lo stesso indicatore dovrebbe leggermente migliorare, scendendo al 3,8 e portando comunque il nostro Paese in «congiuntura molto sfavorevole» («very bad times»).
Ma per il prossimo anno il governo intende chiedere l’applicazione della clausola delle riforme, ovvero la possibilità - concessa ai Paese che dimostrano di aver fatto interventi per migliorare la crescita di lungo periodo - di deviare temporaneamente dal percorso verso l’obiettivo di medio termine (Mto, nel nostro caso il pareggio di bilancio in termini strutturali). La deviazione può arrivare al massimo allo 0,5 per cento del Pil; il ministero dell’Economia ha specificato di volersene avvalere per uno 0,4. Dunque nell’ipotesi abbastanza ragionevole che il ricorso alla clausola delle riforme venga concesso, ci resterebbe solo un margine pari allo 0,1 per cento, 1,6 miliardi.
Poco rispetto ai 45 in un arco pluriennale ipotizzati per l’abbattimento delle imposte. È vero che nelle regole europee c’è anche la clausola degli investimenti. Si ritiene che possa essere utilizzata insieme a quella delle riforme, ma comunque permette di dare spazio finanziario solo a spese di tipo particolare, cofinanziate dalla stessa Ue. Non alla riduzione del prelievo fiscale.