L'intervista/Tahar Ben Jelloun: «Dialoghi per un Mediterraneo da aiutare a crescere»

Tahar Ben Jelloun
Tahar Ben Jelloun
di Nemola ZECCA
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Venerdì 16 Giugno 2023, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 06:36


Nell'etero piazzale della Basilica santuario di Santa Maria De Finibus Terrae a Leuca, l’autore, poeta e saggista marocchino Tahar Ben Jelloun sarà ospite (sabato 17 giugno) della nona edizione di “Armonia. Narrazioni in Terra d’Otranto”, il festival letterario più a est d’Italia, ideato e organizzato dalla libreria Idrusa di Alessano, con la direzione artistica dello scrittore Mario Desiati. Lo scrittore francofono più tradotto al mondo, nell’ambito della rassegna “Discorsi mediterranei” (in collaborazione con la Fondazione Parco Culturale Ecclesiale de Finibus Terrae e il forum Carta di Leuca – A Mediterrenean embrace of peace), dialogherà con Cristina Battocletti, scrittrice e giornalista della Domenica del Sole 24 Ore, e con monsignor Vito Angiuli, vescovo della diocesi di Ugento – Santa Maria di Leuca. Nel corso della serata gli sarà consegnato anche il premio Alan Kurdi.

L'influenza sui temi del razzismo e delle migrazioni

Nato a Fès nel 1944 e ormai di stanza a Parigi, Tahar Ben Jelloun è ad oggi uno degli autori più letti e soprattutto uno degli intellettuali più noti per le sue chiare posizioni nel dibattito europeo, su temi quali il razzismo, la migrazione e, più recentemente, il terrorismo. Vincitore del premio Goncurt nel 1987 con La Nuit sacrée, lo scrittore si è affermato quale voce autorevole e riconosciuta nel panorama internazionale soprattutto a seguito della pubblicazione di Il razzismo spiegato a mia figlia, edito per la prima volta nel 1998 e poi riaggiornato in stampe successive. Sarà lui il protagonista della giornata, pensataper restituire, attraverso il confronto, il piacere della lettura come forma di atto politico e resistenza sociale. 
Lei è uno scrittore marocchino; lì, ha trascorso gran parte della sua infanzia e adolescenza, fino al 1971, quando con l’arabizzazione dell’insegnamento, ha dovuto lasciare il Marocco e trasferirsi in Francia. Che ruolo ha avuto l’esperienza di emigrazione nella sua vita e, dunque, nella sua attività di scrittore?
«Nel 1971, con l’arabizzazione dell’insegnamento della filosofia, sono stato costretto a lasciare il paese. Seguì un periodo di repressione, che colpì anche molti dei miei amici. Così, decisi di trasferirmi in Francia e lì terminare la mia tesi di dottorato. Giunto a Parigi, mi misi subito a lavorare per guadagnare dei soldi. All’epoca, in Francia, non si parlava affatto di migrazione; non era un tema presente nel dibattito. Lo divenne quando nel 1976 Jacques Chirac varò un decreto per il “ricongiungimento familiare”; prima di allora, gli immigrati erano solo uomini e la questione migratoria non era così calda come lo fu in seguito, quando il tema dell’inclusione divenne centrale». 
Molte delle sue opere parlano del mondo Maghrebino, evocandone i valori e la cultura. A partire dal racconto di esperienze spesso al limite (come il prigioniero de Il libro nel buio; o la storia di Ahmed, di La creatura di sabbia), Lei estende la narrazione, elevandola, alla riflessione temi universali, quali la giustizia sociale, la legalità, le virtù umane. 
«Penso che l’ambizione di chi fa lo scrittore sia quella di parlare a tutti, di rendere la propria opera universale, capace cioè di superare i limiti imposti dalle differenze culturali e geografiche di ognuno. Ritengo che, per raggiungere tale obiettivo, occorra necessariamente partire dal particolare, che significa – ad esempio – raccontare la storia di una famiglia, o magari le vicende travagliate di una singola esistenza segregata. Pensi a Il libro del buio: il fatto che sia stato tradotto in ben 47 lingue significa che la storia narrata è arrivata a penetrare lo spirito di tutti. Solo la prospettiva sul “particolare”, raccontata con autentica sincerità, può fornire la chiave giusta per un linguaggio universale».
Tra i temi più ricorrenti delle sue opere, ci sono certamente le questioni concernenti il razzismo, il terrorismo e, più recentemente, il problema migratorio. Giorgia Meloni si è recata in Tunisia, preoccupata per le ripercussioni che la lotta spregiudicata del dittatore Said contro i migranti sub-sahariani possa avere sulle coste italiane. Quali pensa possano essere dei consigli da dare all’attuale classe politica per meglio gestire, da un punto di vista politico ma anche culturale e umano, la questione migratoria? 
«Il mondo in cui viviamo necessita dei migranti: pur volendo mettere da parte ogni discorso legato alla ricchezza culturale e umana di cui sono portatori, senza la loro manovalanza il contesto economico in cui siamo immersi collasserebbe. Molti di questi uomini e di queste donne sono disposti a morire, affidandosi alle promesse di scafisti corrotti, piuttosto che trovare lavoro nei loro paesi, sebbene molto ricchi. Io trovo assurdo e senza senso il comportamento politico di un’Europa che, anziché fare pressioni sui governi di questi Stati e invitarli ad investire sulle loro stesse ricchezze, decida piuttosto di contrastare il flusso di migranti disperati. Sarebbe inconcepibile trovare una ragione logica se non ci fosse di mezzo la mafia e i suoi interessi, più volte denunciati».
Il Mediterraneo, spazio di cronaca ma anche di poesia, pensa che esista e si possa parlare di una macro-regione Mediterranea, e che questa abbia le potenzialità per diventare luogo di attuazione di un progetto politico virtuoso?
«Io credo che esista un Mediterraneo del Nord, ricco e sviluppato, e un Mediterraneo del Sud, decisamente meno prosperoso. Di quest’ultimo, fa parte anche l’Italia che credo possa dare l’esempio, per la cultura e l’eleganza che la contraddistingue, per l’avvio e la promozione di progetti su rete locale, in grado di guidare il Mediterraneo verso un progresso virtuoso, attento al rispetto dell’uomo. D’altra parte, è con la cultura che si salva il mondo, e non con le armi, sebbene siano per queste che oggi gran parte dei soldi pubblici venga spesa».
Molto spesso, Lei, nei suoi libri, si indirizza ai giovani.. Quali pensa che siano i messaggi da trasmettere alle nuove generazioni? 
«Leggere tanto. È senz’altro questo il consiglio che mi sento di dare ai giovani, sempre più immersi, direi quasi assorbiti, dalle nuove tecnologie e dai social network. Solo leggendo Socrate, Seneca, Omero, i poeti e le altre grandi firme della letteratura mondiale, le nuove generazioni saranno in grado di sfuggire alla superficialità dell’oggi, scoprire la complessità e ritrovare la bellezza dell’umano».
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